Palazzo Labia
Il palazzo che vediamo oggi ha avuto origini fastose e trascorsi funesti. Come molte altre meraviglie di Venezia, è giunto a noi quasi miracolosamente, passando attraverso momenti terribili come quando venne bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Iniziamo proprio parlando delle traversie che il Palazzo ha sopportato, fino alla recente resurrezione.
Il salone del Tiepolo diventa un cortile
Al principio del 1800, allontanata la famiglia Labia con il sopravvenuto dominio austriaco, il palazzo fu venduto al principe viennese Lobkowitz, e alla morte di lui era caduto nel più completo abbandono fino a subire sfregi miserevoli, uno dopo l'altro.
Ridotto a casa d'affitto, dava ricetto a una grande quantità di famiglie del quartiere, appollaiate nei mezzanini e nelle soffitte.
Il salone affrescato dal Tiepolo serviva loro da stenditoio per il bucato.
Il piano nobile diventa una fabbrica
Nelle altre sale del piano nobile una rinomata fabbrica veneziana di stoffe d'arte installò e fece lavorare per vari decenni più di cinquanta telai a mano, per tessere la seta. E pare che il rumore del loro frastornante ritmo di lavoro gareggiasse con gli stridori di una segheria meccanica impiantata nei locali dell'ultimo piano. Con quali e quanto insidiose sollecitazioni meccaniche alla statica e quali offese all'estetica delle antiche murature e del loro eccezionale decoro pittorico non è difficile immaginare.
Il primo restauro
E bisogna aggiungere che a rimediarvi nella vera sostanza oltre che nell'apparenza superficiale non valsero, nonostante le migliori intenzioni, i successivi restauri.
Li aveva iniziati, negli anni fra le due guerre, un quasi omonimo acquirente, l'armatore Natale Labbia (poi insignito di titoli nobiliari), attratto dall'ambizione di possedere e restaurare la dimora dei suoi pretesi antenati.
Il secondo restauro
Oltre dieci anni dopo la sua morte gli subentrò nel 1948 Carlo de Beistegui, con ancor più ambiziose intenzioni: non soltanto restituire al palazzo gli aspetti della grande dimora ch'era stata nel Settecento, ma riportarvi l'esistenza fastosa della sua epoca di maggior splendore, adattandolo alle più raffinate esigenze di un'ospitalità moderna, comoda e lussuosa.
Basti ciò per intuire - nel turbinio di tre anni d'impaziente lavoro e di frene-tici, favolosi acquisti sul mercato internazionale antiquario, di tappezzerie, sete, damaschi, cuoi di Cordova, e mobili "veneziani", e specchi e lampadari, e sculture e quadri, per arredare antiche e nuove sale di rappresentanza e nuovissimi appartamenti d'abitazione.
Il passaggio alla RAI
Quando l'edificio passa di proprietà alla RAI ci si accorge di quante trasformazioni ed ampliamenti, passati come "restauri", siano stati in verità ricercati effetti cinematografici, pagati a caro prezzo dalle tormentate strutture del monumentale edificio.
Molte delle quali, di antico ed autentico, conservarono soltanto l'incoerenza di successivi rabberci, i danni della invadente umidità sotterranea e l’insidia dei tarli nelle vecchie travature. Per l'odierno proprietario si è trattato di affrontare una situazione estremamente delicata, difficoltosa, irta d'incertezze e d'ostacoli, sotto ogni punto di vista, sia per il risanamento e il ripristino del monumento, sia per la sua nuova destinazione.
L'architettura del Palazzo
Labia, famiglia di commercianti
Il palazzo Labia, come molti altri grandi palazzi di Venezia, è stato costruito per mostrare il prestigio di una famiglia. I Labia erano originari della Spagna, una famiglia di "stranieri" che si era fatta strada grazie al successo nei commerci. La loro importanza crebbe enormemente con i ricchi traffici mercantili, e ottennero titoli nobiliari perché aiutarono la Repubblica di Venezia nei momenti difficili, donando grosse somme di denaro. Il Senato di allora definì queste donazioni "senza precedenti e superiori alle possibilità di una fortuna privata".
Dalla Spagna a Venezia
I Labia venivano dalla Catalogna e nel Quattrocento si erano spostati prima ad Avignone e poi a Firenze, dove avevano aperto un banco commerciale. All’inizio del Cinquecento arrivarono a Venezia e nel 1548 ottennero la cittadinanza, un primo passo verso il riconoscimento del loro status, anche se non erano ancora nobili. La loro ricchezza continuò a crescere e, verso la metà del Seicento, trovarono l’occasione perfetta per entrare tra le famiglie patrizie di Venezia, il gruppo più esclusivo della città.
Nobili per soldo
In quel periodo Venezia stava vivendo un momento molto particolare. La Repubblica era in crisi economica, stremata dalla lunga guerra di Candia, e per rimettere in sesto le finanze decise di "vendere" il titolo di patrizio a chi poteva permetterselo. Così, anche persone che avevano fatto fortuna con il commercio, come i Labia, poterono entrare nell’élite. Nel 1646 Gian Francesco Labia fu ufficialmente accolto tra i patrizi veneziani grazie ad una generosa donazione.
Il prestigio della nuova residenza
Come tutti i nuovi nobili, anche lui volle dimostrare di essere all’altezza del suo nuovo rango, competendo con le famiglie più antiche. Per farlo, decise di costruire una nuova residenza, più grande e imponente di quella che la famiglia aveva a San Moisé. Scelse un posto strategico a San Geremia, vicino alla vecchia chiesa, dove il Canal Grande si incontra con il rio di Cannaregio, proprio accanto al traghetto usato dagli ambasciatori spagnoli. Era una posizione perfetta: visibile a tutti sul Canal Grande, il “palcoscenico” dell’aristocrazia e degli affari, ma anche comoda per raggiungere la terraferma.
Un palazzo imponente
Il palazzo che fece costruire era all’altezza delle sue ambizioni. L’edificio ha una struttura a tre parti: quella centrale collega l’ingresso dall’acqua con quello da terra. C’è un grande androne, chiamato “portego” in veneziano, che all’inizio si ripeteva anche ai piani superiori per collegare le stanze laterali. Questa struttura influenza il modo in cui sono state progettate le due facciate, quella sul Canal Grande e quella sul campo San Geremia. A differenza di altri palazzi veneziani, qui entrambe le facciate sono altrettanto importanti, sia per il ruolo dell’edificio sia per la sua posizione. Da un lato si affaccia sul grande spazio aperto di San Geremia, accanto alla chiesa (che allora non si pensava ancora di rifare), dall’altro sul canale. Vecchie stampe del Settecento mostrano che c’era anche un piccolo giardino recintato da un muretto basso.
Stile classico
Nonostante i cambiamenti nel tempo, il palazzo Labia conserva ancora oggi un aspetto maestoso, grazie al suo stile architettonico ricco e dettagliato, ispirato ai modelli classici. È costruito interamente in pietra d’Istria e si sviluppa su tre livelli, più un coronamento in alto. Sopra il cornicione, ci sono piccole finestre ovali decorate con cornici eleganti, alternate a delle aquile scolpite a tutto tondo, simbolo della famiglia Labia. Sul livello di base, con una superficie ruvida, si appoggiano i due piani nobili, uguali per grandezza, con balconi continui, colonne verticali e finestre ad arco ornate da mascheroni.
La differenza tra le due facciate
La parte centrale della facciata, dove si trova il “portego”, spicca di più grazie a una grande finestra che ricorda vagamente lo stile della “serliana”. Questo schema si ripete anche sulla facciata verso il campo San Geremia, ma in modo più semplice: qui ci sono meno decorazioni, gli spazi tra le finestre sono più ampi e non ci sono balconi continui. L’ultimo piano, quello delle stanze più piccole, ha finestre rettangolari semplici invece delle ovali decorate delle facciate principali, e c’è solo un’aquila scolpita al centro, a segnare l’asse dell’edificio originale. Questo, infatti, era più corto: la facciata fu poi allungata nel Settecento, in modo coerente con i cambiamenti interni. Anche l’uso della pietra d’Istria è più limitato su questo lato, solo per le parti essenziali.
Due fasi nei lavori
Non sappiamo ancora con certezza chi abbia progettato questo splendido palazzo né quando esattamente sia stato costruito. È sicuro che ci siano state due fasi diverse di lavori, e la prima risale a Gian Francesco Labia, subito dopo che divenne patrizio, quindi intorno alla metà del Seicento. Un indizio sul completamento della prima fase viene dal 1663, quando uscì un libro di Francesco Sansovino, aggiornato da Martinioni, che parla del palazzo di Gian Francesco Labia come di una “bella costruzione con un degno cortile, ornato di aranci, gelsomini e altre piante deliziose”. Questo riferimento chiaro ci dice che l’edificio era già finito, almeno nella sua forma iniziale, anche se poi fu ampliato verso terra in un momento successivo.
L'architetto misterioso
Il mistero più grande resta il nome dell’architetto. Non ci sono documenti certi, solo i nomi di due possibili autori: Alessandro Tremignon e Andrea Cominelli. Gli studiosi non si mettono d’accordo su chi dei due abbia fatto cosa e quando. Alcuni dicono che Tremignon abbia continuato il lavoro di Cominelli, altri il contrario, e c’è chi attribuisce a uno o all’altro anche l’ampliamento del Settecento sul campo San Geremia. Di entrambi sappiamo poco: Tremignon fu attivo nel 1668 con la facciata di San Moisé e poi lavorò ad altri palazzi sul Canal Grande fino al 1700 circa, quando probabilmente morì. Cominelli, invece, appare nel 1660 con la costruzione di una chiesa e nel 1677 in un concorso per la Dogana da mare.
Cominelli sembra il più probabile
Per il palazzo Labia, però, ci sono indizi che puntano su Cominelli. Una veduta incisa da Luca Carlevarijs nel 1703 dice “Architettura di Andrea Cominelli”, e lo stesso viene ripetuto in guide ottocentesche e in un libro del 1879 di C. Bullo, che cita ricevute firmate da Cominelli come “tagliapietre” per la facciata sul rio di Cannaregio. Questi documenti, purtroppo, non si trovano più, ma sembrano confermare che Cominelli lavorò al palazzo intorno alla metà del Seicento, ai tempi di Gian Francesco Labia. È meno probabile che abbia fatto anche l’ampliamento successivo, visto che sarebbe stato troppo vecchio. Tremignon, invece, non può aver continuato i lavori oltre il 1700.
L'ampliamento e gli affreschi
Insomma, il palazzo Labia fu iniziato verso la metà del Seicento da Gian Francesco e finito nei decenni successivi. Poi, nel Settecento, fu ampliato per renderlo ancora più grandioso, ma questa seconda fase non sembra opera né di Cominelli né di Tremignon. Forse fu un architetto meno famoso a occuparsene, seguendo il progetto originale senza grandi cambiamenti. A rendere il palazzo davvero speciale, però, fu l’intervento di Giovanni Battista Tiepolo, che decorò l’interno con i suoi magnifici affreschi.
Palazzo Labia e gli affreschi del Tiepolo
Paolo Antonio Labia
Gli affreschi di Palazzo Labia furono commissionati probabilmente da Paolo Antonio Labia, pronipote di Gian Francesco, il fondatore del palazzo. Siamo nel pieno del Settecento, un periodo in cui Venezia, pur mostrando i primi segni di decadenza politica ed economica, viveva un’intensa fioritura artistica e culturale. Le famiglie patrizie, come i Labia, cercavano di affermare il loro status sociale attraverso opere d’arte e architetture fastose. Paolo Antonio, che fu podestà di Chioggia e Bergamo e senatore della Repubblica, morì nel 1765, ma durante la sua vita fece del palazzo un simbolo di lusso e raffinatezza. È in questo contesto che Tiepolo, all’apice della sua carriera, fu chiamato a decorare il grande salone delle feste, creato durante un ampliamento dell’edificio tra il 1720 e il 1750.
Un salone scenografico per le feste
Il salone, nato unificando in altezza i “porteghi” del primo e secondo piano, era pensato per ospitare ricevimenti sontuosi, un luogo dove i Labia potessero sfoggiare la loro ricchezza e il loro gusto. Tiepolo trasformò questo spazio in un palcoscenico visivo, dove l’arte si fonde con l’architettura per creare un’illusione di grandezza e movimento.
Il Ciclo degli Affreschi: Antonio e Cleopatra
Il tema scelto per gli affreschi è la storia d’amore tra Cleopatra e Marco Antonio, tratta dalle “Vite” di Plutarco e rielaborata con la fantasia tipica del Rococò. Due scene principali dominano il salone: “L’incontro tra Antonio e Cleopatra” sul soffitto e “Il banchetto di Cleopatra” sulla parete principale. Queste opere non sono solo una narrazione storica, ma un’esaltazione della magnificenza e del potere, temi che rispecchiavano le aspirazioni dei Labia.
L’Incontro tra Antonio e Cleopatra
Sul soffitto, Tiepolo dipinge il momento in cui i due amanti si vedono per la prima volta. Cleopatra, splendida e regale, scende dalla sua nave dorata, mentre Antonio la accoglie con un seguito di figure eleganti. La scena è un’esplosione di luce e colore: il cielo azzurro si apre in una prospettiva illusionistica, con nuvole bianche e figure che sembrano fluttuare nello spazio. Tiepolo usa la sua maestria nel creare profondità, dando l’impressione che il soffitto si dissolva nel cielo, un effetto tipico della sua tecnica “quadraturistica”. I personaggi sono vestiti con abiti sontuosi, che mescolano elementi romani e dettagli settecenteschi, un gioco che rende l’opera timeless e vicina al gusto dell’epoca.
Il Banchetto di Cleopatra
Sulla parete, Tiepolo rappresenta il celebre episodio in cui Cleopatra scioglie una perla in aceto e la beve per dimostrare la sua ricchezza. La scena è un tripudio di dettagli: tavole imbandite, servitori, musici e figure in pose teatrali. L’architettura dipinta si integra con quella reale del salone, con balconi e colonne che sembrano continuare oltre le pareti. I colori vivaci – ori, rossi, azzurri – e la luce brillante creano un’atmosfera festosa, quasi come se lo spettatore fosse invitato al banchetto stesso.
Lo Stile del Tiepolo
Giambattista Tiepolo è stato uno dei maestri del Rococò, uno stile caratterizzato da leggerezza, grazia e decoratività. A Palazzo Labia, il suo talento emerge in ogni pennellata. La sua capacità di combinare figure umane con architetture dipinte crea un effetto tridimensionale che “sfonda” le superfici, unendo reale e immaginario. Le figure, eleganti e dinamiche, sembrano muoversi in uno spazio infinito, mentre la luce, che pare provenire da fonti invisibili, dona vitalità e calore alla scena.
Tiepolo collaborò probabilmente con Gerolamo Mengozzi Colonna, un esperto di quadrature, che lo aiutò a progettare le cornici architettoniche dipinte. Questa collaborazione è evidente nell’armonia tra gli affreschi e la struttura del salone, dove ogni elemento contribuisce a un’esperienza visiva totale.
Quando vennero dipinti gli affreschi?
Non ci sono documenti precisi sulla data di realizzazione degli affreschi, ma gli studiosi collocano il lavoro tra il 1745 e il 1750, poco prima che Tiepolo partisse per Würzburg, in Germania, dove realizzò un altro dei suoi capolavori. La decorazione di Palazzo Labia è considerata uno degli ultimi grandi cicli veneziani dell’artista e un esempio perfetto della sua maturità artistica. Alcuni dettagli, come lo stile delle vesti e la raffinatezza delle quadrature, confermano questa cronologia.
Simbologia degli affreschi
Questi affreschi non erano solo un abbellimento, ma un messaggio: i Labia volevano essere visti come eredi della grandezza classica, una famiglia capace di rivaleggiare con le corti più potenti d’Europa. Il tema di Antonio e Cleopatra, con il suo mix di amore, lusso e potere, era perfetto per questo scopo.
Palazzo Labia oggi
Oggi Palazzo Labia è sede della RAI, che ne ha acquistato una parte nel XX secolo, garantendone la conservazione.
Il salone degli affreschi è visitabile raramente ma offre un’immersione nell’arte e nella storia veneziana. Nonostante i danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale (il palazzo fu bombardato nel 1945, ma gli affreschi furono salvati), l’opera di Tiepolo è stata restaurata e conserva ancora la sua straordinaria bellezza.
Gli affreschi di Palazzo Labia non sono solo un capolavoro artistico, ma una testimonianza della Venezia del Settecento: una città che, pur vicina al tramonto della sua potenza, brillava ancora di una luce unica. Tiepolo, con la sua visione geniale, ha trasformato un salone in un sogno dipinto, un luogo dove il passato mitico e il presente fastoso si incontrano, lasciando un’eredità che incanta ancora oggi.