Palazzo Labia

Palazzo Labia

Il palazzo che vediamo oggi ha avuto origini fastose e trascorsi funesti. Come molte altre meraviglie di Venezia, è giunto a noi quasi miracolosamente, passando attraverso momenti terribili come quando venne bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Iniziamo proprio parlando delle traversie che il Palazzo ha sopportato, fino alla recente resurrezione.

Il salone del Tiepolo diventa un cortile

Al principio del 1800, allontanata la famiglia Labia con il sopravvenuto dominio austriaco, il palazzo fu venduto al principe viennese Lobkowitz, e alla morte di lui era caduto nel più completo abbandono fino a subire sfregi miserevoli, uno dopo l'altro.
Ridotto a casa d'affitto, dava ricetto a una grande quantità di famiglie del quartiere, appollaiate nei mezzanini e nelle soffitte.
Il salone affrescato dal Tiepolo serviva loro da stenditoio per il bucato.

 

 
Il piano nobile diventa una fabbrica

Nelle altre sale del piano nobile una rinomata fabbrica veneziana di stoffe d'arte installò e fece lavorare per vari decenni più di cinquanta telai a mano, per tessere la seta. E pare che il rumore del loro frastornante ritmo di lavoro gareggiasse con gli stridori di una segheria meccanica impiantata nei locali dell'ultimo piano. Con quali e quanto insidiose sollecitazioni meccaniche alla statica e quali offese all'estetica delle antiche murature e del loro eccezionale decoro pittorico non è difficile immaginare.

 

Il primo restauro

E bisogna aggiungere che a rimediarvi nella vera sostanza oltre che nell'apparenza superficiale non valsero, nonostante le migliori intenzioni, i successivi restauri. 
Li aveva iniziati, negli anni fra le due guerre, un quasi omonimo acquirente, l'armatore Natale Labbia (poi insignito di titoli nobiliari), attratto dall'ambizione di possedere e restaurare la dimora dei suoi pretesi antenati.

 

Il secondo restauro

Oltre dieci anni dopo la sua morte gli subentrò nel 1948 Carlo de Beistegui, con ancor più ambiziose intenzioni: non soltanto restituire al palazzo gli aspetti della grande dimora ch'era stata nel Settecento, ma riportarvi l'esistenza fastosa della sua epoca di maggior splendore, adattandolo alle più raffinate esigenze di un'ospitalità moderna, comoda e lussuosa.

Basti ciò per intuire - nel turbinio di tre anni d'impaziente lavoro e di frene-tici, favolosi acquisti sul mercato internazionale antiquario, di tappezzerie, sete, damaschi, cuoi di Cordova, e mobili "veneziani", e specchi e lampadari, e sculture e quadri, per arredare antiche e nuove sale di rappresentanza e nuovissimi appartamenti d'abitazione.

 

Il passaggio alla RAI

Quando l'edificio passa di proprietà alla RAI ci si accorge di quante trasformazioni ed ampliamenti, passati come "restauri", siano stati in verità ricercati effetti cinematografici, pagati a caro prezzo dalle tormentate strutture del monumentale edificio.
Molte delle quali, di antico ed autentico, conservarono soltanto l'incoerenza di successivi rabberci, i danni della invadente umidità sotterranea e l’insidia dei tarli nelle vecchie travature.  Per l'odierno proprietario si è trattato di affrontare una situazione estremamente delicata, difficoltosa, irta d'incertezze e d'ostacoli, sotto ogni punto di vista, sia per il risanamento e il ripristino del monumento, sia per la sua nuova destinazione.

 

L'architettura del Palazzo 

Labia, famiglia di commercianti

Il palazzo Labia, come molti altri grandi palazzi di Venezia, è stato costruito per mostrare il prestigio di una famiglia. I Labia erano originari della Spagna, una famiglia di "stranieri" che si era fatta strada grazie al successo nei commerci. La loro importanza crebbe enormemente con i ricchi traffici mercantili, e ottennero titoli nobiliari perché aiutarono la Repubblica di Venezia nei momenti difficili, donando grosse somme di denaro. Il Senato di allora definì queste donazioni "senza precedenti e superiori alle possibilità di una fortuna privata".

 

Dalla Spagna a Venezia

I Labia venivano dalla Catalogna e nel Quattrocento si erano spostati prima ad Avignone e poi a Firenze, dove avevano aperto un banco commerciale. All’inizio del Cinquecento arrivarono a Venezia e nel 1548 ottennero la cittadinanza, un primo passo verso il riconoscimento del loro status, anche se non erano ancora nobili. La loro ricchezza continuò a crescere e, verso la metà del Seicento, trovarono l’occasione perfetta per entrare tra le famiglie patrizie di Venezia, il gruppo più esclusivo della città.

 

Nobili per soldo

In quel periodo Venezia stava vivendo un momento molto particolare. La Repubblica era in crisi economica, stremata dalla lunga guerra di Candia, e per rimettere in sesto le finanze decise di "vendere" il titolo di patrizio a chi poteva permetterselo. Così, anche persone che avevano fatto fortuna con il commercio, come i Labia, poterono entrare nell’élite. Nel 1646 Gian Francesco Labia fu ufficialmente accolto tra i patrizi veneziani grazie ad una generosa donazione. 

 

Il prestigio della nuova residenza

Come tutti i nuovi nobili, anche lui volle dimostrare di essere all’altezza del suo nuovo rango, competendo con le famiglie più antiche. Per farlo, decise di costruire una nuova residenza, più grande e imponente di quella che la famiglia aveva a San Moisé. Scelse un posto strategico a San Geremia, vicino alla vecchia chiesa, dove il Canal Grande si incontra con il rio di Cannaregio, proprio accanto al traghetto usato dagli ambasciatori spagnoli. Era una posizione perfetta: visibile a tutti sul Canal Grande, il “palcoscenico” dell’aristocrazia e degli affari, ma anche comoda per raggiungere la terraferma.

 

Un palazzo imponente

Il palazzo che fece costruire era all’altezza delle sue ambizioni. L’edificio ha una struttura a tre parti: quella centrale collega l’ingresso dall’acqua con quello da terra. C’è un grande androne, chiamato “portego” in veneziano, che all’inizio si ripeteva anche ai piani superiori per collegare le stanze laterali. Questa struttura influenza il modo in cui sono state progettate le due facciate, quella sul Canal Grande e quella sul campo San Geremia. A differenza di altri palazzi veneziani, qui entrambe le facciate sono altrettanto importanti, sia per il ruolo dell’edificio sia per la sua posizione. Da un lato si affaccia sul grande spazio aperto di San Geremia, accanto alla chiesa (che allora non si pensava ancora di rifare), dall’altro sul canale. Vecchie stampe del Settecento mostrano che c’era anche un piccolo giardino recintato da un muretto basso.

 

Stile classico

Nonostante i cambiamenti nel tempo, il palazzo Labia conserva ancora oggi un aspetto maestoso, grazie al suo stile architettonico ricco e dettagliato, ispirato ai modelli classici. È costruito interamente in pietra d’Istria e si sviluppa su tre livelli, più un coronamento in alto. Sopra il cornicione, ci sono piccole finestre ovali decorate con cornici eleganti, alternate a delle aquile scolpite a tutto tondo, simbolo della famiglia Labia. Sul livello di base, con una superficie ruvida, si appoggiano i due piani nobili, uguali per grandezza, con balconi continui, colonne verticali e finestre ad arco ornate da mascheroni.

 

La differenza tra le due facciate

La parte centrale della facciata, dove si trova il “portego”, spicca di più grazie a una grande finestra che ricorda vagamente lo stile della “serliana”. Questo schema si ripete anche sulla facciata verso il campo San Geremia, ma in modo più semplice: qui ci sono meno decorazioni, gli spazi tra le finestre sono più ampi e non ci sono balconi continui. L’ultimo piano, quello delle stanze più piccole, ha finestre rettangolari semplici invece delle ovali decorate delle facciate principali, e c’è solo un’aquila scolpita al centro, a segnare l’asse dell’edificio originale. Questo, infatti, era più corto: la facciata fu poi allungata nel Settecento, in modo coerente con i cambiamenti interni. Anche l’uso della pietra d’Istria è più limitato su questo lato, solo per le parti essenziali.

 

Due fasi nei lavori

Non sappiamo ancora con certezza chi abbia progettato questo splendido palazzo né quando esattamente sia stato costruito. È sicuro che ci siano state due fasi diverse di lavori, e la prima risale a Gian Francesco Labia, subito dopo che divenne patrizio, quindi intorno alla metà del Seicento. Un indizio sul completamento della prima fase viene dal 1663, quando uscì un libro di Francesco Sansovino, aggiornato da Martinioni, che parla del palazzo di Gian Francesco Labia come di una “bella costruzione con un degno cortile, ornato di aranci, gelsomini e altre piante deliziose”. Questo riferimento chiaro ci dice che l’edificio era già finito, almeno nella sua forma iniziale, anche se poi fu ampliato verso terra in un momento successivo.

 

L'architetto misterioso

Il mistero più grande resta il nome dell’architetto. Non ci sono documenti certi, solo i nomi di due possibili autori: Alessandro Tremignon e Andrea Cominelli. Gli studiosi non si mettono d’accordo su chi dei due abbia fatto cosa e quando. Alcuni dicono che Tremignon abbia continuato il lavoro di Cominelli, altri il contrario, e c’è chi attribuisce a uno o all’altro anche l’ampliamento del Settecento sul campo San Geremia. Di entrambi sappiamo poco: Tremignon fu attivo nel 1668 con la facciata di San Moisé e poi lavorò ad altri palazzi sul Canal Grande fino al 1700 circa, quando probabilmente morì. Cominelli, invece, appare nel 1660 con la costruzione di una chiesa e nel 1677 in un concorso per la Dogana da mare.

 

Cominelli sembra il più probabile

Per il palazzo Labia, però, ci sono indizi che puntano su Cominelli. Una veduta incisa da Luca Carlevarijs nel 1703 dice “Architettura di Andrea Cominelli”, e lo stesso viene ripetuto in guide ottocentesche e in un libro del 1879 di C. Bullo, che cita ricevute firmate da Cominelli come “tagliapietre” per la facciata sul rio di Cannaregio. Questi documenti, purtroppo, non si trovano più, ma sembrano confermare che Cominelli lavorò al palazzo intorno alla metà del Seicento, ai tempi di Gian Francesco Labia. È meno probabile che abbia fatto anche l’ampliamento successivo, visto che sarebbe stato troppo vecchio. Tremignon, invece, non può aver continuato i lavori oltre il 1700.

 

L'ampliamento e gli affreschi

Insomma, il palazzo Labia fu iniziato verso la metà del Seicento da Gian Francesco e finito nei decenni successivi. Poi, nel Settecento, fu ampliato per renderlo ancora più grandioso, ma questa seconda fase non sembra opera né di Cominelli né di Tremignon. Forse fu un architetto meno famoso a occuparsene, seguendo il progetto originale senza grandi cambiamenti. A rendere il palazzo davvero speciale, però, fu l’intervento di Giovanni Battista Tiepolo, che decorò l’interno con i suoi magnifici affreschi.

 

Palazzo Labia e gli affreschi del Tiepolo

Paolo Antonio Labia

Gli affreschi di Palazzo Labia furono commissionati probabilmente da Paolo Antonio Labia, pronipote di Gian Francesco, il fondatore del palazzo. Siamo nel pieno del Settecento, un periodo in cui Venezia, pur mostrando i primi segni di decadenza politica ed economica, viveva un’intensa fioritura artistica e culturale. Le famiglie patrizie, come i Labia, cercavano di affermare il loro status sociale attraverso opere d’arte e architetture fastose. Paolo Antonio, che fu podestà di Chioggia e Bergamo e senatore della Repubblica, morì nel 1765, ma durante la sua vita fece del palazzo un simbolo di lusso e raffinatezza. È in questo contesto che Tiepolo, all’apice della sua carriera, fu chiamato a decorare il grande salone delle feste, creato durante un ampliamento dell’edificio tra il 1720 e il 1750.

 

Un salone scenografico per le feste 

Il salone, nato unificando in altezza i “porteghi” del primo e secondo piano, era pensato per ospitare ricevimenti sontuosi, un luogo dove i Labia potessero sfoggiare la loro ricchezza e il loro gusto. Tiepolo trasformò questo spazio in un palcoscenico visivo, dove l’arte si fonde con l’architettura per creare un’illusione di grandezza e movimento.

 

Il Ciclo degli Affreschi: Antonio e Cleopatra

Il tema scelto per gli affreschi è la storia d’amore tra Cleopatra e Marco Antonio, tratta dalle “Vite” di Plutarco e rielaborata con la fantasia tipica del Rococò. Due scene principali dominano il salone: “L’incontro tra Antonio e Cleopatra” sul soffitto e “Il banchetto di Cleopatra” sulla parete principale. Queste opere non sono solo una narrazione storica, ma un’esaltazione della magnificenza e del potere, temi che rispecchiavano le aspirazioni dei Labia.

 

L’Incontro tra Antonio e Cleopatra

Sul soffitto, Tiepolo dipinge il momento in cui i due amanti si vedono per la prima volta. Cleopatra, splendida e regale, scende dalla sua nave dorata, mentre Antonio la accoglie con un seguito di figure eleganti. La scena è un’esplosione di luce e colore: il cielo azzurro si apre in una prospettiva illusionistica, con nuvole bianche e figure che sembrano fluttuare nello spazio. Tiepolo usa la sua maestria nel creare profondità, dando l’impressione che il soffitto si dissolva nel cielo, un effetto tipico della sua tecnica “quadraturistica”. I personaggi sono vestiti con abiti sontuosi, che mescolano elementi romani e dettagli settecenteschi, un gioco che rende l’opera timeless e vicina al gusto dell’epoca.

 

 

Il Banchetto di Cleopatra

Sulla parete, Tiepolo rappresenta il celebre episodio in cui Cleopatra scioglie una perla in aceto e la beve per dimostrare la sua ricchezza. La scena è un tripudio di dettagli: tavole imbandite, servitori, musici e figure in pose teatrali. L’architettura dipinta si integra con quella reale del salone, con balconi e colonne che sembrano continuare oltre le pareti. I colori vivaci – ori, rossi, azzurri – e la luce brillante creano un’atmosfera festosa, quasi come se lo spettatore fosse invitato al banchetto stesso.

 

Lo Stile del Tiepolo

Giambattista Tiepolo è stato uno dei maestri del Rococò, uno stile caratterizzato da leggerezza, grazia e decoratività. A Palazzo Labia, il suo talento emerge in ogni pennellata. La sua capacità di combinare figure umane con architetture dipinte crea un effetto tridimensionale che “sfonda” le superfici, unendo reale e immaginario. Le figure, eleganti e dinamiche, sembrano muoversi in uno spazio infinito, mentre la luce, che pare provenire da fonti invisibili, dona vitalità e calore alla scena.

 

Tiepolo collaborò probabilmente con Gerolamo Mengozzi Colonna, un esperto di quadrature, che lo aiutò a progettare le cornici architettoniche dipinte. Questa collaborazione è evidente nell’armonia tra gli affreschi e la struttura del salone, dove ogni elemento contribuisce a un’esperienza visiva totale.

 

Quando vennero dipinti gli affreschi? 

Non ci sono documenti precisi sulla data di realizzazione degli affreschi, ma gli studiosi collocano il lavoro tra il 1745 e il 1750, poco prima che Tiepolo partisse per Würzburg, in Germania, dove realizzò un altro dei suoi capolavori. La decorazione di Palazzo Labia è considerata uno degli ultimi grandi cicli veneziani dell’artista e un esempio perfetto della sua maturità artistica. Alcuni dettagli, come lo stile delle vesti e la raffinatezza delle quadrature, confermano questa cronologia.

 

Simbologia degli affreschi

Questi affreschi non erano solo un abbellimento, ma un messaggio: i Labia volevano essere visti come eredi della grandezza classica, una famiglia capace di rivaleggiare con le corti più potenti d’Europa. Il tema di Antonio e Cleopatra, con il suo mix di amore, lusso e potere, era perfetto per questo scopo.

 

Palazzo Labia oggi

Oggi Palazzo Labia è sede della RAI, che ne ha acquistato una parte nel XX secolo, garantendone la conservazione.
Il salone degli affreschi è visitabile raramente ma offre un’immersione nell’arte e nella storia veneziana. Nonostante i danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale (il palazzo fu bombardato nel 1945, ma gli affreschi furono salvati), l’opera di Tiepolo è stata restaurata e conserva ancora la sua straordinaria bellezza.

Gli affreschi di Palazzo Labia non sono solo un capolavoro artistico, ma una testimonianza della Venezia del Settecento: una città che, pur vicina al tramonto della sua potenza, brillava ancora di una luce unica. Tiepolo, con la sua visione geniale, ha trasformato un salone in un sogno dipinto, un luogo dove il passato mitico e il presente fastoso si incontrano, lasciando un’eredità che incanta ancora oggi.

 

Palazzo Labia, apertura FAI di Primavera 2025

English Version

Palazzo Labia


The palace we see today had grandiose beginnings and a troubled history. Like many other wonders of Venice, it has reached us almost miraculously, surviving terrible moments such as when it was bombed during the Second World War.

Let’s begin by talking about the hardships the palace has endured, up to its recent revival.

 
Tiepolo’s Salon Becomes a Courtyard


At the beginning of the 19th century, after the Labia family was driven out by the arrival of Austrian rule, the palace was sold to the Viennese Prince Lobkowitz. After his death, it fell into complete neglect, suffering one pitiful disfigurement after another.
Reduced to a tenement house, it provided shelter to a large number of families from the neighborhood, crowded into the mezzanines and attics.
The salon frescoed by Tiepolo was used by them as a place to hang laundry.

The Piano Nobile Becomes a Factory


In the other rooms of the piano nobile, a renowned Venetian factory of artistic fabrics set up and operated more than fifty handlooms for several decades, weaving silk. It’s said that the noise of their relentless rhythm competed with the screeching of a mechanical sawmill installed in the rooms of the top floor. It’s not hard to imagine the dangerous mechanical stress this placed on the building’s structure and the offenses it caused to the aesthetics of the ancient walls and their exceptional pictorial decoration.

The First Restoration


It must be added that subsequent restorations, despite the best intentions, failed to truly address the substance of the damage beyond superficial appearances.
These efforts were started between the two world wars by a near-namesake buyer, the shipowner Natale Labbia (later bestowed with noble titles), driven by the ambition to own and restore the home of his supposed ancestors.

The Second Restoration


More than ten years after his death, in 1948, Carlo de Beistegui took over, with even more ambitious intentions: not only to restore the palace to its appearance as the grand residence it had been in the 18th century, but to bring back the lavish lifestyle of its most splendid era, adapting it to the refined demands of modern, comfortable, and luxurious hospitality.

This can be glimpsed in the whirlwind of three years of impatient work and frenetic, fabulous purchases on the international antiques market—tapestries, silks, damasks, Cordovan leathers, “Venetian” furniture, mirrors, chandeliers, sculptures, and paintings—to furnish both the old and new reception rooms and the brand-new residential apartments.

The Transfer to RAI

When the building passed into the ownership of RAI, it became clear how many transformations and expansions, passed off as “restorations,” were in reality contrived cinematic effects, exacting a heavy toll on the tormented structure of the monumental building.
Much of what was ancient and authentic retained only the incoherence of successive patchworks, the damage from invasive underground humidity, and the threat of woodworm in the old beams. For today’s owner, this meant facing an extremely delicate, challenging situation, fraught with uncertainties and obstacles from every perspective—both for the restoration and recovery of the monument and for its new purpose.

The Architecture of the Palace


Labia, a Family of Merchants


Palazzo Labia, like many other grand palaces in Venice, was built to showcase a family’s prestige. The Labia were originally from Spain, a family of “outsiders” who rose to prominence thanks to their success in trade. Their importance grew immensely through lucrative commercial dealings, and they earned noble titles by aiding the Venetian Republic in difficult times with substantial monetary donations. The Senate at the time described these contributions as “unprecedented and exceeding the means of a private fortune.”

From Spain to Venice


The Labia hailed from Catalonia and, in the 15th century, moved first to Avignon and then to Florence, where they established a commercial bank. At the start of the 16th century, they arrived in Venice, gaining citizenship in 1548—a first step toward recognition of their status, though they were not yet nobles. Their wealth continued to grow, and by the mid-17th century, they found the perfect opportunity to join Venice’s patrician elite, the city’s most exclusive circle.

Nobles by Purchase


During this period, Venice was experiencing a particularly challenging moment. The Republic was in financial crisis, exhausted by the prolonged War of Candia, and to bolster its coffers, it decided to “sell” the patrician title to those who could afford it. Thus, even individuals who had made their fortune in trade, like the Labia, could enter the elite. In 1646, Gian Francesco Labia was officially welcomed among the Venetian patricians thanks to a generous donation.

The Prestige of the New Residence


Like all new nobles, he wanted to prove himself worthy of his elevated rank, competing with older families. To do so, he decided to build a new residence, larger and more imposing than the one the family had at San Moisè. He chose a strategic location at San Geremia, near the old church, where the Grand Canal meets the Cannaregio canal, right next to the ferry used by Spanish ambassadors. It was an ideal spot: visible to all along the Grand Canal, the “stage” of aristocracy and business, yet convenient for reaching the mainland.

A Luxury Palace


The palace he built lived up to his ambitions. The building has a three-part structure: the central section connects the water entrance to the land entrance. There’s a large hall, called a “portego” in Venetian, which was originally repeated on the upper floors to link the side rooms. This layout shapes the design of the two facades—one facing the Grand Canal and the other overlooking Campo San Geremia. Unlike other Venetian palaces, both facades here are equally significant, both for the building’s role and its location. On one side, it opens onto the wide space of San Geremia, next to the church (which wasn’t yet considered for renovation at the time), and on the other, it faces the canal. Old 18th-century prints show there was also a small garden enclosed by a low wall.

Classical Style


Despite changes over time, Palazzo Labia retains a majestic appearance today, thanks to its rich and detailed architectural style, inspired by classical models. It is built entirely of Istrian stone and rises across three levels, topped by a crowning section. Above the cornice, small oval windows with elegant frames alternate with fully sculpted eagles, the symbol of the Labia family. The base level, with a rough texture, supports the two noble floors, equal in size, featuring continuous balconies, vertical columns, and arched windows adorned with decorative masks.

The Difference Between the Two Facades


The central part of the facade, where the “portego” is located, stands out more thanks to a large window vaguely reminiscent of the “serliana” style. This pattern repeats on the facade facing Campo San Geremia, but in a simpler form: there are fewer decorations, wider gaps between the windows, and no continuous balconies. The top floor, used for smaller rooms, has plain rectangular windows instead of the ornate ovals of the main facades, with only a single sculpted eagle marking the center of the original building. Indeed, it was shorter originally—the facade was extended in the 18th century, consistent with internal modifications. The use of Istrian stone is also more limited on this side, reserved for essential elements.

Two Phases of Construction


We still don’t know with certainty who designed this splendid palace or exactly when it was built. It’s clear there were two distinct construction phases, the first dating back to Gian Francesco Labia, shortly after he became a patrician, around the mid-17th century. A clue to the completion of this first phase comes from 1663, when a book by Francesco Sansovino, updated by Martinioni, describes Gian Francesco Labia’s palace as a “beautiful structure with a worthy courtyard, adorned with orange trees, jasmine, and other delightful plants.” This clear reference tells us the building was already finished, at least in its initial form, though it was later expanded landward.

The Mysterious Architect


The biggest mystery remains the architect’s identity. There are no definitive documents, only two possible names: Alessandro Tremignon and Andrea Cominelli. Scholars disagree on who did what and when. Some say Tremignon continued Cominelli’s work, others the reverse, and some attribute the 18th-century extension on Campo San Geremia to one or the other. We know little about either: Tremignon was active in 1668 with the San Moisè facade and worked on other Grand Canal palaces until around 1700, when he likely died. Cominelli appears in 1660 with a church construction and in 1677 in a competition for the Dogana da Mare.

Cominelli Seems the Most Likely


For Palazzo Labia, however, clues point to Cominelli. A 1703 engraving by Luca Carlevarijs states “Architecture by Andrea Cominelli,” a claim repeated in 19th-century guides and a 1879 book by C. Bullo, which cites receipts signed by Cominelli as a “stonecutter” for the facade on the Cannaregio canal. These documents are sadly lost, but they suggest Cominelli worked on the palace around the mid-17th century, during Gian Francesco Labia’s time. It’s less likely he handled the later expansion, as he would have been too old. Tremignon, meanwhile, couldn’t have continued work beyond 1700.

The Expansion and the Frescoes


In short, Palazzo Labia was begun in the mid-17th century by Gian Francesco and completed in the following decades. Then, in the 18th century, it was expanded to make it even grander, though this second phase doesn’t seem to be the work of either Cominelli or Tremignon. Perhaps a lesser-known architect took over, following the original design with few changes. What truly made the palace exceptional, however, was Giovanni Battista Tiepolo’s intervention, adorning the interior with his magnificent frescoes.

Palazzo Labia and Tiepolo’s Frescoes


Paolo Antonio Labia


The frescoes of Palazzo Labia were likely commissioned by Paolo Antonio Labia, Gian Francesco’s great-nephew and the palace’s founder. This was the height of the 18th century, a time when Venice, despite showing early signs of political and economic decline, was experiencing a vibrant artistic and cultural flourishing. Patrician families like the Labia sought to assert their social status through art and lavish architecture. Paolo Antonio, who served as podestà of Chioggia and Bergamo and a senator of the Republic, died in 1765, but during his lifetime, he made the palace a symbol of luxury and refinement. It was in this context that Tiepolo, at the peak of his career, was called to decorate the grand ballroom, created during an expansion of the building between 1720 and 1750.

A Theatrical Ballroom for Festivities


The ballroom, formed by vertically uniting the “porteghi” of the first and second floors, was designed to host lavish receptions—a space where the Labia could flaunt their wealth and taste. Tiepolo transformed it into a visual stage, blending art and architecture to create an illusion of grandeur and movement.

The Fresco Cycle: Anthony and Cleopatra


The chosen theme for the frescoes is the love story of Cleopatra and Mark Antony, drawn from Plutarch’s “Lives” and reimagined with the playful flair of the Rococo. Two main scenes dominate the ballroom: “The Meeting of Antony and Cleopatra” on the ceiling and “The Banquet of Cleopatra” on the main wall. These works are not just historical narratives but a celebration of magnificence and power—themes that mirrored the Labia’s aspirations.

The Meeting of Antony and Cleopatra


On the ceiling, Tiepolo depicts the moment the two lovers first meet. Cleopatra, splendid and regal, steps off her golden ship, while Antony greets her with an entourage of elegant figures. The scene bursts with light and color: a blue sky opens up in an illusionistic perspective, with white clouds and figures that seem to float in space. Tiepolo’s mastery of depth makes the ceiling appear to dissolve into the sky, a hallmark of his “quadratura” technique. The characters wear lavish garments blending Roman elements with 18th-century details—a playful touch that makes the work timeless and suited to the era’s taste.

The Banquet of Cleopatra


On the wall, Tiepolo portrays the famous episode where Cleopatra dissolves a pearl in vinegar and drinks it to prove her wealth. The scene is a riot of detail: laden tables, servants, musicians, and figures in theatrical poses. The painted architecture blends with the room’s real structure, with balconies and columns that seem to extend beyond the walls. Vibrant colors—gold, red, blue—and brilliant light create a festive atmosphere, almost inviting the viewer to join the feast.

Tiepolo’s Style


Giovanni Battista Tiepolo was a master of the Rococo, a style defined by lightness, grace, and ornamentation. At Palazzo Labia, his genius shines in every brushstroke. His ability to merge human figures with painted architecture creates a three-dimensional effect that “breaks through” surfaces, uniting reality and imagination. The elegant, dynamic figures seem to move in boundless space, while light from unseen sources brings vitality and warmth to the scene.

Collaboration with Mengozzi Colonna


Tiepolo likely collaborated with Gerolamo Mengozzi Colonna, a quadratura expert who helped design the painted architectural frames. This partnership is evident in the harmony between the frescoes and the ballroom’s structure, where every element contributes to a total visual experience.

When Were the Frescoes Painted?


There are no precise records of the frescoes’ creation date, but scholars place the work between 1745 and 1750, shortly before Tiepolo left for Würzburg, Germany, where he created another masterpiece. The decoration of Palazzo Labia is considered one of his last great Venetian cycles and a perfect example of his artistic maturity. Details like the clothing style and quadratura refinement support this timeline.

Symbolism of the Frescoes


These frescoes were more than decoration—they were a statement: the Labia wanted to be seen as heirs to classical grandeur, a family rivaling Europe’s mightiest courts. The theme of Antony and Cleopatra, blending love, luxury, and power, was ideal for this purpose.

Palazzo Labia Today


Today, Palazzo Labia is owned by RAI, which acquired part of it in the 20th century, ensuring its preservation. The frescoed ballroom is rarely open to visitors but offers an immersion in Venetian art and history. Despite damage from the Second World War (the palace was bombed in 1945, though the frescoes were saved), Tiepolo’s work has been restored and retains its extraordinary beauty.

The frescoes of Palazzo Labia are not just an artistic masterpiece but a testament to 18th-century Venice: a city nearing the end of its power yet still radiant with unique brilliance. Tiepolo, with his visionary genius, turned a ballroom into a painted dream, a place where mythic past and lavish present converge, leaving a legacy that enchants to this day.

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