La chiesa ed il convento di San Francesco della Vigna
Un area scarsamente popolata
La fascia di territorio prospiciente la laguna a settentrione, delimitata a sud dal lungo canale di San Giovanni Laterano e di San Francesco e compresa fra i Santi Giovanni e Paolo e l' Arsenale, rimase per lunghi secoli quasi disabitata.
Evidentemente la scarsa solidità del terreno, la sua esposizione a nord, l'insediarsi di particolari attività quali i depositi di legname che richiedevano larghi spazi liberi, impedirono che su queste aree si sviluppasse, come in altre parti della citta, un'edilizia qualificata a carattere intensivo.
E sufficiente il confronto tra questa zona e quella altrettanto marginale di Cannaregio, pur essa ottenuta con successive opere di imbonimento, per stabilire la differenza d'uso. Infatti anche se molte aree del sestiere di Cannaregio erano tenute ad orti, appaiono meglio organizzate e comunque legate all'esistenza di case e palazzi secondo un rapporto di stretta appartenenza.
La donazione
Questa disponibilità di terreni si verifica non solo nei primi secoli ma anche nel Trecento e ancora, per certe parti, nel Cinquecento. Prova di quanto si afferma sono le concessioni di insediamento fatte dalla Repubblica agli ordini religiosi per la fondazione di chiese e monasteri. Risale al 1234 la donazione di terreni da parte di Jacopo Tiepolo ai frati domenicani dei Santi Giovanni e Paolo e al 1253 un'altra donazione di Marco Ziani, figlio del doge Pietro, a Frati Minori di un vasto spazio tenuto fino a quell'epoca a vigna, unitamente a delle case ed una chiesetta.
Si costruisce il monastero e la chiesa gotica
Il monastero e l'adiacente chiesa di San Francesco della Vigna vennero fondati nel 1253 dall'ordine dei Frati Minori o Predicatori.
La tradizione narra che il preesistente piccolo oratorio intitolato a San Marco fosse stato edificato a ricordo del breve, leggendario soggiorno dell'Evangelista su queste terre durante il suo viaggio verso l'Oriente.
Descrizione Urbana ed Edilizia alla Fine del Quattrocento
Alla fine del Quattrocento, la situazione urbana ed edilizia del complesso di San Francesco è delineata con precisione dal de' Barbari. La chiesa prospetta su un vasto spazio ancora non pavimentato con la facciata tripartita da lesene, aperta da un rosone centrale e con linea di coronamento a spioventi conclusi da edicole marmoree.
Il fianco destro, a quell'epoca prospiciente uno spazio cintato di appartenenza al convento e adibito ad orto, al pari di quello retrostante le absidi, si presenta scandito da lesene e dai lunghi finestroni ogivali. Il campanile sorgeva a ridosso della zona absidale ed era sormontato dalla tipica cuspide conica. Sul fianco sinistro si appoggiavano i corpi di fabbrica del convento che raggiungevano il margine lagunare. Questi sopravanzavano la linea della facciata con la quale componevano un angolo retto e costituivano uno dei lati del campo che si allargava poi in un ampio spazio incolto confinante con le mura di cinta del convento di Santa Giustina.
La Ricostruzione della Chiesa sotto il Doge Andrea Gritti
Demolita nella prima metà del 500, la Chiesa venne ricostruita con vera magnificenza. Molte famiglie patrizie la scelsero come sepoltura e la arricchirono di capolavori d'arte e vi costruirono artistici altari.
Al primitivo conventino, consistente in un semplice chiostro accanto alla chiesa, si unì il grandioso convento quattrocentesco formato da tre grandi chiostri: uno maggiore con archi e colonne tutt'intorno, di cui un lato prospettava sulla laguna; e due minori in testa ad esso, dalla parte della Chiesa.
Questa ricostruzione iniziò nel 1534 quando il doge Andrea Gritti, nel porre la prima pietra della nuova chiesa di San Francesco, affermò la propria intenzione di attuare un programma di valorizzazione edilizia di quella zona di Castello, dove tra l'altro lo stesso Doge possedeva alcune case.
Il palazzo della Nunziatura
Il Doge Andrea Gritti possedeva il grandioso edificio rinascimentale d'angolo detto «della Nunziatura» perché adibito a sede dei nunzi apostolici, si pose mano alla ricostruzione della chiesa di San Francesco. I lavori iniziarono nel 1534 secondo i disegni di Jacopo Sansovino al quale era stata affidata la progettazione del nuovo edificio.
Curiosità: l'influenza filosofica di Francesco Giorgi
Nel 1525, il frate minorita Francesco Giorgi aveva dato alle stampe un'opera «Harmonia mundi totius», che suscitò un certo interesse negli ambienti culturali veneziani per alcune teorie legate alla tradizione ermetico cabalistica dei numeri magici posti in rapporto con una concezione armonica del creato.
Quando Jacopo Sansovino fu chiamato a stendere il progetto di San Francesco della Vigna, il doge Andrea Gritti chiamò il Giorgi a controllare e, se necessario, a modificare il modello presentato dall'architetto in base alle sue teorie filosofiche che trovarono nella chiesa pratica applicazione, come sta a dimostrare il memoriale steso dal Giorgi nel 1535 e controfirmato dallo stesso Sansovino, da Tiziano e dal Serlio.
Struttura e Variazioni del Nuovo Edificio
In realtà, l'edificio realizzato presenta alcune varianti rispetto al disegno originario, oggi riconoscibile soltanto nella cosiddetta «medaglia Spinelli». La cupola, a pianta ottagonale di ispirazione toscana, al pari della facciata, costituiva uno degli elementi fondamentali del discorso spaziale sansoviniano; essa non venne mai eretta e la copertura venne risolta con una volta a padiglione estesa uniformemente sulla navata e sul transetto. Tale struttura costituì una sorta di compromesso con le idee del Giorgi che imponevano un soffitto piano. Anche le soluzioni piuttosto sommarie attuate nel secondo ordine sembrano suggerire un minor impegno del Sansovino che aveva dovuto subire, certamente di malavoglia, i condizionamenti impostigli dal Gritti.
Planimetria della Chiesa
Planimetricamente, la chiesa è a croce latina, con ampia navata centrale fiancheggiata da una serie di cinque cappelle per lato che interpretano nella nuova concezione classica la funzione delle navate laterali. Lo spazio delle navate, anticamente continuo e scandito solo dai pilastri isolati a sostegno delle arcate, viene ora suddiviso da setti murari che raggiungono il muro d'ambito creando degli spazi in successione singolarmente conclusi. Il piano si conclude con un profondo corpo del presbiterio, di pianta perfettamente rettangolare, diviso in due parti da un altare passante dietro al quale era stato posto il coro dei monaci. Soltanto la lettura della pianta permette di individuare i due corridoi laterali, adibiti a servizi, compresi tra il muro perimetrale e quello interno che definisce la larghezza del presbiterio.
Ingressi Lateral nel Transetto
Nelle due pareti di fondo della testata del transetto si aprono gli ingressi laterali: a sinistra quello privato del convento, a destra quello pubblico che immette sul campo della Confraternita che venne costituendosi all'epoca della ricostruzione della chiesa sullo spazio prima tenuto ad Orti. Questo intervento liberò completamente il fianco destro dell'edificio sansoviniano e modificò la composizione urbana della zona introducendo nuovi motivi funzionali e visivi costituiti dai due campi successivi la cui continuità spaziale avviene tra la facciata della chiesa e il palazzo della Nunziatura. Anche il canale si inserisce ora nel sistema, sia pure in forma marginale. Il cavalcavia a colonnato che unisce il palazzo della Nunziatura all'edificio opposto lungo il canale, precludendolo ulteriormente alla vista, fu eretto solo nel XIX secolo quando l'antica residenza dei nunzi apostolici passò ai frati francescani.
Completamento della Facciata da Palladio
A circa trent'anni dal suo inizio, la chiesa era ancora priva della facciata. A erigerla fu chiamato, nel 1562, Andrea Palladio che aveva da poco redatto il progetto della chiesa di San Pietro di Castello riscuotendo unanimi consensi negli ambienti culturali della città. L'artista accolse questo incarico come una nuova occasione per sperimentare le sue teorie che perseguivano un ideale di classicità, malgrado i limiti che gli venivano forzatamente imposti dalla preesistenza della chiesa sansoviniana. Il Palladio accentuò l'altezza del corpo centrale che concluse con un frontone triangolare poggiante su quattro colonne corinzie che si impostano su un alto basamento sviluppato anche lungo le ali.
Dettagli della Facciata di Palladio
Il disegno è ad un solo ordine ma la trabeazione mediana, in forte aggetto, che compone la linea orizzontale delle navate laterali, viene riproposta al centro a coronamento del portale. Quest'ultimo, a causa della notevolissima altezza, presenta l'arco chiuso da una lastra di pietra lavorata a raggi concentrici a rilievo. L'asse mediano lungo il quale sono concentrati i motivi architettonici più ricchi e di maggiore evidenza quali il portale riquadrato da due colonne, il finestrone centinato e lo stesso tondo con l'aquila in rilievo del frontone, il discorso compositivo si sviluppa verso le ali con superfici piane trattate a riquadri entro i quali figurano iscrizioni e con le due nicchie le cui statue bronzee, opera di Tiziano Aspetti, costituiscono nel biancore del marmo l'elegante contrappunto cromatico di raccordo.
L'aquila posta al centro del timpano, con la scritta "Renovabitur" si riferisce probabilmente a quanto scrive Sant'Agostino, a proposito del versetto salmico “renovabitur ut aquilae iuventus tua”. Egli racconta che l’aquila spezza il becco troppo cresciuto contro una pietra per poter tornare a cibarsi, alludendo al sacrificio con cui il cristiano deve infrangere la sua corporeità, che gli impedisce di nutrire l’anima, contro la roccia di Pietro e della sua Chiesa.
La Facciata Vista dalla Fondamenta di Santa Giustina
A chi proviene dalla fondamenta di Santa Giustina, la facciata della chiesa appare parzialmente occultata dal palazzo dei Nunzi che il Palladio forse intendeva demolire per ottenere una totale fruizione dell'edificio sacro, in accordo con la metodologia generale applicata in tutti i suoi interventi.
Rimanenze e Restauri del Monastero
La struttura fu in parte rimaneggiata verso la metà del XVIII secolo. Le fabbriche del monastero si pongono, come si è visto, tra la chiesa e la laguna e rappresentano uno dei più interessanti esempi di architettura gotica trecentesca ancora esistenti e praticamente intatti grazie anche ad un recente restauro. Tre sono i chiostri che formano il complesso ma mentre i primi due, consecutivi e addossati alla chiesa, sono completi di porticato lungo tutti i lati, il terzo, di grande ampiezza, si presenta oggi con i due soli lati interni costruiti, così che lo spazio del cortile si apre e si dilata sulla laguna.
I Porticati e le Strutture Moderne
I porticati sono costituiti da una serie di arcate in laterizio a vista poggianti su agili colonne di pietra il cui semplice capitello è sormontato da una sorta di basso pulvino. La pavimentazione è formata dalla successione ininterrotta di pietre tombali appartenenti a nobili famiglie veneziane e a personaggi che si sono distinti in vari campi di attività. Sulle arcate si leva il piano dei dormitori il cui sistema distributivo a celle appare dalla serie continua di piccole finestre fra loro equidistanti. A contaminare la bellezza del luogo concorrono le fastidiose strutture dei due gasometri.
L'arrivo di Napoleone e la soppressione del convento
Durante la soppressione del 1810 il convento divenne caserma della marina e poi, sotto l'Austria, caserma d'artiglieria. Molti locali vecchi e cadenti, inservibili agli usi di casermaggio, furono demoliti. Furono inoltre murate le colonne a tramontana del grande chiostro.
Recenti restauri
Il convento venne ricomperato nel 1881.
Negli anni 1953 - 1956 furono fatti radicali lavori di restauro: demolita la loggia esterna, scoperte tutte le colonne murate nei due lati del grande chiostro, rinnovate tutte le pareti corrose dalla salsedine, infrescate tutte le travature annerite dal tempo e demolite altre sovracostruzioni minori.
Nel 1955 all'estremità ovest venne costruita un nuova ala ad uso portineria e Curia Provinciale (trasferita nel 2004 nel convento di Marghera). Dal 1989 il convento di S. Francesco della Vigna è sede dell'Istituto di Studi Ecumenici, sorto a Verona, S. Bernardino, nel 1981.