I dogi di Venezia

Introduzione: i primi Dogi

Il serenissimo Principe, il supremo magistrato, il capo di stato veneziano. Con questi ed altre formule era denominato il Doge, la cui funzione conobbe una evoluzione ed un adattamento alle mutevoli esigenze dello Stato Veneziano. 

Ma quando nacque questa figura? 

Sappiamo che nell'arcipelago di Isole della laguna veneziana vi erano insediamenti sparsi che si svilupparono in epoca romana e che la popolazione crebbe di numero con l'arrivo dei profughi da Aquileia, Concordia e Padova a seguito dell'invasione degli Unni di Attila attorno al 450 d.C.

Con le invasioni longobarde la popolazione crebbe ulteriormente tanto da dar vita ad una vera e propria comunità soggetta all'autorità di Bisanzio, cioè dell'impero romano d'oriente, attraverso Ravenna.

Ma gli abitanti delle isole cercarono ben presto forme di organizzazione autonoma, favoriti in questo dalla debole presenza di Bisanzio. 

Non fu un processo immediato: i primi due Dogi, Paulicio e Marcello, in realtà rappresentarono il punto di passaggio ad una comunità, ad un popolo, che esprimeva sempre più la volontà di autodeterminarsi. 

Il primo vero capo dello stato veneziano è il terzo Doge, Orso, che, a capo di un movimento autonomista, si rivolta cruentemente e dichiara l'indipendenza dal dominio Bizantino. 

Il primo Doge e l'epigrafe di Torcello

L'epigrafe nella Chiesa di Santa Maria Assunta di Torcello, del 639, accenna alla presenza nell'isola di un Magister Militum. Purtroppo il testo dell'epigrafe è mutilato ma molti hanno letto questa come la dimostrazione dell'esistenza di un Magister Militum della Provinciae Venetiarum. Non ci sono riscontri oggettivi, nè testimonianze così antiche che lo possano confermare.

La prima, che risale all'XI secolo è di Giovanni Diacono che ci descrive la nomina di un cittadino di Eraclea nel ruolo di Duca, con il nome di Paulicio. Questi, secondo la tradizione, fu il primo Doge di Venezia.

697 - Paoluccio (Paolo Lucio) Anafesto

La tradizione indica Paulicio o Pauluccio Anafesto come il primo Doge di Venezia, eletto nel 697 (secondo altre fonti tra il 713 ed il 715). L'elezione di Paulicio sembra sia avvenuta per iniziativa degli abitanti della laguna in autonomia rispetto alle direttive di Bisanzio, cui Venezia era soggetta nei primi secoli della sua esistenza. Teoricamente l'elezione del Duca (o Doge, come verrà chiamato più avanti) avrebbe dovuto essere confermata dall'esarcato di Ravenna. Da Ravenna, infatti, si amministravano i (pochi) territori Bizantini rimasti nella penisola. Probabilente i veneziani, approfittarono di una crisi dell'esarcato e della presenza dei Longobardi, per scegliere in autonomia il nome del Magister Militum.

Il Doge ed i suoi poteri

Il grado potere di cui godevano i primi Dogi era molto alto. Erano degli alti funzionari di stato, magistrati, legislatori, imponevano tasse e comandavano le forze militari: accentravano, insomma, i vari poteri dello stato in un unica persona.Convocavano l'assemblea generale, imponevano tributi, amministravano la giustizia in suprema istanza, nominavano i funzionari e conducevano gli eserciti in guerra. Avevano anche un ruolo importante nelle questioni ecclesiastiche. 

Dalla nascita della Serenissima questi poteri andranno diminuendo fino a trasformare la figura del Doge in un rappresentante formale dello Stato Veneto con pochi poteri sostanziali.

717 - Doge Marcello Tegalliano

Il secondo Doge, Marcello Tegalliano, fu eletto dopo la morte di Paulicio nel 717 ed era un suo collaboratore di fiducia che condusse una delicata trattativa con i Longobardi definendo i confini tra il territorio occupato dai barbari e quello veneziano. Ad identificare Marcello come secondo Doge è sempre Giovanni Diacono che scrive dopo l'anno mille e che ci racconta le origini della Serenissima.

Vita e morte del Doge nei primi anni della Repubblica

Essere Doge, nei primi anni della Repubblica, non era affatto facile.
Dei 26 Dogi che si succedettero fino al 1032 solamente 10 morirono di morte naturale.
In quanto agli altri:

  • 3 vennero accecati e deposti
  • uno fu costretto a fuggire
  • 5 divennero religiosi a forza
  • 2 furono uccisi a seguito di rivolte
  • uno abdicò
  • uno morì in battaglia

 

726 - Doge Orso

Il Doge orso viene eletto nel 726 e secondo alcuni storici è lui il primo vero Doge della Repubblica di Venezia. Egli, infatti, viene eletto durante il regno dell'imperatore Leone III che volle negare il culto delle immagini sacre attirandosi le ire dei cattolici e provocando ribellioni nella popolazione. Il Papa scomunicò sia Leone III che l'esarca di Ravenna e a Venezia la popolazione prese sul serio la dichiarazione del Papa di considerare "nemico dichiarato" il Sovrano bizantino.
Da questi eventi l'elezione di un Duca non-filobizantino, come fu Orso.
Qualche anno dopo i rapporti tra Venezia e Bisanzio sembrano essersi rasserenati. Non abbiamo notizie certe ma lo possiamo desumere dal fatto che il Doge assunse il titolo di "Ipato" (console), titolo che i bizantini affidavano a persone di loro fiducia.

La promissione dogale

La promissione dogale fece la propria comparsa nel 1192 con il doge Enrico Dandolo. In un testo articolato in 17 paragrafi il Doge si assumeva una serie di obblighi, ad esempio quello di governare attenendosi alle decisioni del Maggior Consiglio e del Minor Consiglio. 

La promissione del 1229, con il doge Jacopo Tiepolo, divenne più dettagliata:

  • rendere operanti le decisioni prese dai due consigli
  • non interferire nell'elezione del patriarca di Grado
  • non inviare lettere o ambascerie al papa o ad altri sovrani senza la preventiva autorizzazione del consiglio
  • non tenere nascosto al consiglio il contenuto di lettere ricevute
  • non accettare doni da chiunque (eccetto acqua di rosa, foglie, fiori, erbe odorifere e balsami). 

In seguito le professioni divennero sempre più specifiche e vincolanti limitando sempre più l'autorità del Doge. Vennero stabilite anche le modalità per la deposizione ducale, decisione che spettava al Minor Consiglio e alla maggioranza del Maggior Consiglio. Curiosità: il doge poteva essere deposto ma non poteva dare le dimissioni. 

La promissione dogale continuò ad essere regolarmente redatta e pronunciata dal Doge fino all'entrata in carica, nel 1789, dell'ultimo Doge di Venezia, Ludovico Manin. 

742 - Deusdedit

Alla morte di Orso intervenne un mutamento nell'assetto istituzionale della nascente Repubblica Veneta: al posto dei Duchi venne introdotto un governo di magistri militum con la clausola di rimanere in carica soltanto per un anno. Conosciamo anche i nomi degli eletti: Leone, Felice detto Cornicola, Deusdedit (figlio del Doge Orso), Gioviano e Giovanni Fabriciaco. 

Il cambiamento però non ebbe vita lunga e nel 742 venne eletto lo stesso Deusdedit, che era stato magister militum.

Sotto il Doge Deusdedit la capitale del Ducato venne trasferita da Eraclea a Malamocco per poi passare definitivamente a Rialto. 

La promissione dogale II

La promissione Dogale: alcune delle modifiche nei secoli

DOGE LORENZO TIEPOLO (1268 - 1275)
  • 1. non esercitare mercatura,
  • 2. fare doni solo in particolari occasioni,
  • 3. riferire prontamente al Mazor Consejo ogni turbativa,
  • 4. non rilasciare a suo arbitrio i detenuti,
  • 5. sollecitare i giudici perchè definissero rapidamente le cause pendenti.
DOGE JACOPO CONTARINI (1275 - 1280)
  • 1. divieto di unirsi in matrimonio con donna forestiera senza l'assenso del Mazor Consejo,
  • 2. divieto di poter ricevere prestiti oppure feudi,
  • 3. divieto di acquistare immobili fuori del dogado,
  • 4. pagare entro otto giorni quanto avesse acquistato,
  • 5. farsi leggere per intero, ad intervalli di due mesi, il proprio Capitolar,
  • 6. non parteggiare nel caso sorgessero dissidi in sua presenza,
  • 7. dare pronta notifica ai Consiglieri degli atti che gli si chiedessero di sottoscrivere.
DOGE GIOVANNI DANDOLO (1280 - 1289)

Si aggiunse la promessa di

  • riscuotere le rendite che gli spettavano,
  • ed in caso d'incertezza solo i Consiglieri avrebbero stabilito l'ammontare del suo appannaggio;
  • prometteva di inviare un gonfalone di San Marco ad ogni città suddita;
  • confermava che avrebbe spedito lettere personali solo dopo l’avvenuta lettura del testo da parte dei Consiglieri.
DOGE PIERO GRADENIGO (1289 - 1311)

Non differisce sostanzialmente da quella di Giovanni Dandolo, una sola nuova restrizione di una certa importanza venne imposta al neo eletto:

  • di non poter uscire dal dogado se non col permesso dei Consiglieri.

 

Alla fine del XIII secolo, in coincidenza con l'approvazione della Parte fondamentale detta della serrata del Maggior Consiglio (1297), il Doge divenne in via definitiva, un nobile cittadino al servizio dello Stato.

755 - Doge Galla Gaulo

La carriera e la vita dei Dei Dogi, e siamo al quinto, si faceva sempre più difficile di certo il potere dei Longobardi si stava incrinando sempre di più a causa della comparsa nella scena politica europea e italica di un nuovo soggetto politico-militare, i Franchi, e anche se Venezia cercava un suo spazio, risultava difficile interpretare gli umori della sua popolazione.
Galla viene considerato dagli storici un “voltagabbana”, anche se le notizie sul personaggio sono scarse, in ogni caso fece la fine dei suoi predecessori.

Galla figlio di Egidio Gaulo tribuno d'Equilio (l'attuale Jesolo), uomo tanto pieno di vizi quanto prode con le armi, dopo aver battuti gli Eracleani, e gli Obelerii col soccorso dei Ravennati e dei Greci, ed occupati parecchi lidi fino a Grado, invaso Malamocco, e deposto l'infelice Teodato, si fece nel 755 acclamare principe delle Venezie.

Una volta nominato Doge questi divenne ancora più crudele e sottomise con la forza ogni malcontento fino a che, con una congiura segreta organizzata da pressoché tutte le famiglie dei nobili veneziani, l'intero popolo si sollevò contro questo sovrano, circondò Malamocco, prese il Galla che fu accecato ed esiliato.

Promissione dogale III

«QUESTO XE EL VOSTRO DOXE SE VE PIAXE»

Con questa formula si continuò a presentarlo al popolo fino al 1423 e poi con la formula: «Abbiamo eletto Doge il tale dei tali».

Dopo eletto, in Chiesa di S. Marco, riceveva lo stendardo di S. Marco, e dopo aver percorso la piazza sul così detto pozzetto, spargendo denaro al popolo, si recava in palazzo ducale, dove il Consigliere più giovane gli imponeva il camauro e il più anziano il corno ducale gioellato. Poi si affacciava alla loggia del Palazzo col diadema in capo per farsi vedere dal popolo.

Il Doge al momento della sua nomina era tenuto di giurare l'osservanza della promissione ducale, che regolava i suoi poteri.

Una magistratura speciale, che sembra abbia avuto origine nel secolo XIII, si occupava di modificarla secondo le necessità del momento alla morte di ogni doge. Erano questi i correttori della promissione ducale, ai quali si aggiunsero nel 1501 gli inquisitori del doge defunto, che dovevano investigare se il doge si fosse attenuto all'osservanza della promissione.

Il solo tentativo di ribellione alle ferree leggi, che limitavano i poteri del doge, è stato quello di Marin Faliero. Il povero doge Lorenzo Celsi, per essersi permesso di far portare nelle cerimonie una specie di piccolo scettro, fu soggetto ad una inchiesta, che finì nel nulla, ma tanto lo addolorò da accelerare la sua fine.

Altre inchieste, per abusi vennero fatte dopo la morte dei dogi Agostino Barbarigo e Leonardo Loredan. Contro le violazioni della promissione, commesse dal doge Giovanni Corner a favore dei figli e del cognato, insorse nel 1625 Renier Zeno, che lo ammonì pubblicamente come capo del Consiglio dei X.

Notevole fu pure nel 1676 la mancata conferma della nomina di Giovanni Sagredo da parte del Maggior Consiglio, per i brogli successi nella elezione.

756 - Domenico Monegario

Nel periodo di vita di questo doge le cose si complicarono ulteriormente a causa di una terza forza emergente nello scacchiere europeo.

Le sconfitte inflitte al longobardo Astolfo dai Franchi di Pipino e la successiva scomparsa del sovrano longobardo segnò il definitivo declino dei longobardi nel territorio italico nonché un rafforzamento della posizione del Papato.

I rapporti di forza delle famiglie e dei ceti emergenti fecero si che dopo otto anni al potere, affiancato da 2 "magister militi" o tribuni che ne controbilanciavano il potere, Domenico Monegario seguì la sorte dei suoi 5 predecessori, fu infatti deposto e acceccato. Dove e quando morì non è dato a sapersi.

Sappiamo però che per restringere i poteri del Doge i Veneziani affiancarono a Domenico Monegario eletto nel 756, due tribuni, con i quali doveva consultarsi prima di prendere qualsiasi decisione.

Sembra che l'alterigia del Monegario, che mal sopportava questi due consiglieri, fece sorgere delle discordie tali che il Doge venne deposto e accecato e quindi mandato in esilio.

 

803 - Obelario Antenoreo

Quando venne eletto, nel 804, la potenza Veneta stava ancora nascendo: Greci e Franchi se ne disputavano l'influenza.

Obelerio, avendo moglie francese, tifava per i Franchi e quindi per Carlo Magno e Pipino e strinse un alleanza con i Carolingi al fine di avere un forte alleato e mantenere l'autonomia.

Ma sembra che la maggioranza dei veneziani, invece, appoggiassero i bizantini. Quando nell’809 Pipino richiese l’appoggio dei Veneziani contro i Greci, ottenne un rifiuto. Con questo pretesto il Re dei Franchi attaccò e devastò Grado, Eraclea, Iesolo, Fine, Fessone, Cavarzere, Loreo, Brondolo, Chioggia, e si presentò a Malamocco.

Il governo si trasferì a Rialto preparandosi ad una lunga resistenza. Dopo sei mesi di battaglie Pipino desistette abbandonando l'impresa. 

 

Dopo il successo i veneti se la presero proprio con Obelerio e con il fratello Beato, accusati di fraternizzare con i Franchi. Il primo venne confinato a Costantinopoli, ed il secondo a Zara.

Obelerio si mise ad organizzare complotti ed intrichi per riacquistare il ruolo perduto. Una congiura fu scoperta dopo l’820, due capi della quale, Giovanni Talonico, o Tornarico, e Buono Bradanesso, o Bragadeno, furono presi e messi a morte.

Nel frattempo Obelerio riuscì a fuggire da Costantinopoli e, con l'aiuto di alcuni soldati di Malamocco voleva stringere d'assedio Venezia. Il doge in quel momento era Giovanni Partecipazio che intervenne duramente contro Malamocco e, una volta imprigionato Obelerio, lo fece torturare e uccidere. Era l'anno 829.

811 - Angelo Partecipazio

Angelo Partecipazio fu il Doge che trasferì la sede del governo delle Venezia da Malamocco a Rivoalto, l'arcipelago di isole che è oggi la città di Venezia. 

Fu anche il doge che dette inizio alla costruzione di Palazzo Ducale, o meglio al primo nucleo di quello che oggi conosciamo come il palazzo del Doge. Il sito di edificazione è quello attuale ma sembra che quel primo nucleo fosse stato edificato come una fortezza.

Angelo (o Agnello) Partecipazio fu il Doge che riuscì a mantenere Venezia indipendente dall'influenza dei Franchi preferendo una relazione di blanda sottomissione ai Bizantini, che si concretizzava nell'uso della moneta di bisanzio. La leggenda narra che i Franchi, comandati da Pipino, figlio di Carlo Magno, volevano sottomettere i veneziani in quanto il loro potere era "sulla terra e sul mare". Al che i veneziani dichiararono che riconoscevano il potere dei franchi sulla terra e sul mare, ma vivendo loro in una laguna non erano soggetti a tale dominio. 

L'ira dei franchi si accanì verso Metatauco (l'antica capitale, detta anche Malamocco) già abbandonata dai Veneziani che combatterono i Franchi decimandoli al punto che ancora oggi la zona del combattimento si chiama Canale Orfani. Così almeno narra la leggenda. 

I Partecipazio dettero luogo ad una vera e propria dinastia di governo: dopo Angelo divenne Doge il figlio Giustiniano e quindi un altro figlio, Giovanni. 

827 - Giustiniano Partecipazio

Quando morì il padre Agnello, Giustiniano Partecipazio, il figlio, da co-reggente divenne Doge nel 827.
Sotto il suo Dogado va ricordata l'alleanza con l'imperatore greco Michele per liberare i mari dai pirati saraceni e la grandissima impresa del furto delle reliquie di San Marco che venne organizzata da due Veneziani: Rustico di Torcello e Buono di Malamocco.
La leggenda narra che i due, approdati essi in Alessandria d’ Egitto per finalità commerciali, trovarono Staurazio monaco e Teodoro prete, custodi della chiesa di san Marco e delle reliquie del santo. I due preti confessarono la paura ai mercanti che la loro chiesa potesse essere distrutta dai musulmani. I veneziani si offersero di portare in salvo le reliquie del santo che, con uno stratagemma, nascosero ai musulmani. 

Quando le reliquie del Santo arrivarono a Venezia, immediatamente Giustiniano ordinò che si gettassero le fondamenta di quella meraviglia che è oggi la Basilica di San Marco.

Giustiniano, sentendo la morte avvicinarsi, richiamò a Venezia il fratello Giovanni, che aveva esiliato, e gli cedette il trono ducale. Morì nel 829 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Ilario.

Alla sua morte lasciò una ricca eredità consistente in proprietà terriere diffuse a Eraclea, Equilio (jesolo), Torcello ma anche nel trevigiano. Tale patrimonio fu certamente anche il frutto dei vantaggi politici di 18 anni di Dogado congiunto con il padre.

Doge Pietro Tradonico 836 - 864

Il trono del Doge Pietro Tradonico secondo la tradizione è appartenuta allo stesso Apostolo Pietro quando era vescovo di Antiochia, e si racconta fosse stata donata al Doge Pietro Tradonico dall'Imperatore d'Oriente Michele III. Ora è nella cattedrale di San Pietro a Venezia. 

Doge Tradonico, trono
Il trono del Doge Tradonico nella cattedrale di San Pietro a Venezia

 

Nel periodo in cui governa il Doge Tradonico abbiamo notizie di eclissi, folgori tempeste e terremoti... un dogado non molto fortunato, insomma.

Ma il Doge Tradonico fu importante per i rapporti che seppe intessere con gli stati stranieri che avevano interessi sul territorio di Venezia dell'epoca. Firmò con i Franchi il Patto di Lotario (840) che riconobbe l'indipendenza di Venezia. Ma Pietro seppe farsi valere anche con Bisanzio come console, avviando Venezia verso l'indipendenza politica e commerciale.

Per tradizione il giorno di Pasqua il Doge si recava al convento di S.Zaccaria a rendere omaggio alle suore percorrendo la riva davanti il bacino di S.Marco. Fu lungo questo percorso che, nel 864, il Doge Pietro Tradonico fu assassinato.

Il doge Pietro Tradonico fu il primo ad essere sepolto a Venezia nella Chiesa di San Zaccaria

979 - 991 Tribuno Menio

Secondo la tradizione apparteneva alla casa patrizia dei Memmo o Menio. Legato da vincoli parentali ai Candiano per aver sposato Marina, figlia del doge Pietro IV, successe a Vitale, fratello di questo.

Il suo dogado fu segnato da lotte intestine tra il partito favorevole all'Impero germanico d'Occidente, capitanato dalla famiglia dei Coloprini, e il partito fedele all'Impero romano d'Oriente, facente capo ai Morosini. La tensione raggiunse il massimo quando i Coloprini, avendo ucciso Domenico Morosini, cercarono rifugio presso l'imperatore Ottone II, a cui offrirono il dominio del ducato veneziano.

Stefano Coloprini, capo della famiglia, avrebbe ricevuto la corona ducale dall'imperatore Ottone II come vassallo imperiale. Intanto a Venezia il popolo saccheggiava le case dei fuggitivi, senza che il doge Menio si oppo-nesse. Ottone II impose il blocco del commercio dei Venetici, di cui ordinò l'arresto della popolazione che si trovava nei confini dell'impero Germanico. 

Fortunatamente per Venezia nel 983 muore l'imperatore e vengono a cessare sanzioni e assedio. I Coloprini tentano di tornare a Venezia, ma i Morosini, assetati di vendetta, assassinano tre dei figli di Stefano. 

Il doge, in mezzo a tante sventure cercava il sostegno dell'impero d'oriente inviando il proprio figlio a Costantinopoli, senza ottenere grandi risultati. 

I veneziani, secondo la leggenda, insorgono contro il Doge e lo costringono all'abdicazione. Il Doge ed il figlio passeranno gli ultimi anni della vita in un convento, probabilmente quello di San Giorgio Maggiore, istituito per concessione del Doge nel 983. 

Nella facciata della Chiesa palladiana di San Giorgio Maggiore un busto raffigura il doge e ne ricorda la generosità verso l'ordine benedettino. 

1032 - Domenico Flabanico

Con Flabanico Venezia attraversò finalmente un momento di quiete, dopo un periodo tutt'altro che tranquillo.

Benché non se ne conoscano con certezza i dettagli, il suo governo si basò sulla moderazione e l'equilibrio (da qui l'appellativo di prudentissimus vir).

Un'importante novità fu quella di circoscrivere i poteri del doge, che erano quasi assoluti, e di non renderli ereditari.

Sotto Flabanico ha termine l'usanza di nominare un coreggente o un successore della propria famiglia e mandarlo a formarsi a Bisanzio, consuetudine che aveva portato alla formazione di una vera e propria monarchia sul modello bizantino.

Con Flabanico Venezia attraversò finalmente un momento di quiete, dopo un periodo tutt'altro che tranquillo.

Benché non se ne conoscano con certezza i dettagli, il suo governo si basò sulla moderazione e l'equilibrio (da qui l'appellativo di prudentissimus vir).

Un'importante novità fu quella di circoscrivere i poteri del doge, che erano quasi assoluti, e di non renderli ereditari.

Sotto Flabanico ha termine l'usanza di nominare un coreggente o un successore della propria famiglia e mandarlo a formarsi a Bisanzio, consuetudine che aveva portato alla formazione di una vera e propria monarchia sul modello bizantino.

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1043 - 1071 Domenico I Contarini

L'antico casato dei Contarini diede a Venezia ben 8 dogi. Domenico fu il primo tra questo a rivestire la più alta carica dello Stato e la mantenne per 27 anni.

Le dignità di patrizio, archipato e magister, a lui concesse da Costantinopoli, sembra sottolineare rapporti di vicinanza con l'Impero d'Oriente. Domanico, inoltre, riuscì a capovolgere l'iniziale ostilità dell'imperatore d'Occidente Enrico III ottenendo il rinnovo dei secolari privilegi concessi ai veneziani.

Facendo seguito a secoli di contrasti diplomatici, dovette difendere il patriarca di Grado dagli attacchi del patriarca di Aquileia Wolfgang von Treffen, detto Poppone che, nel 1024, passò all'azione con l'appoggio imperiale: invase e devasto Grado chiedendo al papa di dichiarare la sede gradense come sua dipendenza, ma il papa non si pronunciò ed egli fini col ritirarsi. Nel 1044 ripeté l'impresa, occupò e distrusse di nuovo Grado, con l'accordo dell'imperatore Enrico III, ma questa volta Domenico I Contarini ottenne dal papa la conferma solenne e definitiva dei diritti del patriarcato gradense.

Nel 1053 il patriarca di Aquileia Domenico Marango otteneva da papa Leone IX una sentenza in cui Grado veniva dichiarata «Nova Aquileia, totius Venetiae e Histrise caput et metropolis», con supremazia sulla sede friulana e giurisdizione anche sui suoi territori.

A partire dal 1063, Contarini promosse la riedificazione della basilica di San Marco nella forma che possiamo ammirare ancora oggi per quanto riguarda le opere murario lasciando ai successori le decorazioni. 

Fondò con il patriarca di Grado e il vescovo di Olivolo a Venezia (San Pietro di Castello) la chiesa e il monastero di San Nicolò del Lido, che furono concessi ai monaci benedettini.

 

Doge Domenico I contarini
Sepoltura: San Nicolò del lido

Fu sepolto nel 1071 nella chiesa di San Nicolò del Lido, secondo il suo volere, perché la riedificazione della basilica di San Marco da lui promossa non era ancora ultimata.

Nel 1580, Francesco Sansovino nella sua celebre guida Venetia, città nobilissima et singolare conferma l'esistenza nella sacrestia del monumento funebre al doge Domenico I Contarini, tomba riccamente decorata con marmi policromi come porfido e serpentino. Tra il 1626 e il 1629 la chiesa fu ricostruita e l'antico sarcofago marmoreo andò distrutto.

Nel 1640 i benedettini gli dedicarono un nuovo monumento in pietra d'Istria collocato sulla facciata, rimasta incompiuta, sopra il portale d'ingresso. Sopra l'architrave su un alto zoccolo lapideo rettangolare, sul quale probabilmente era scolpita l'epigrafe, poggia un'arca classicheggiante sovrastata dal busto del doge Domenico I Contarini.

1071 - Doge Domenico Selvo

Domenico Selvo o Silvio venne eletto Doge di Venezia nel 1070 a furor di popolo. La gente gridava "Volemo dose Domenico Selvo et lo laudemo".

Il Selvo ringraziando rifiutò l'onore ma i nobili lo presero e lo sollevarono in alto affinchè il popolo tutto lo acclamasse principe e poi lo condussero fino alla attuale Basilica di San Marco dove fra cantici sacri ricevette le insegne ducali

Per istringere maggiore amicizia tra Veneziani e Greci, prese a moglie Teodora, figlia del fu imperadore Costantino Duca.
A Venezia la moglie del Doge venne presto soprannominata la "principessa Bizantina" e sorprendeva tutti con le sue abitudini al lusso, alla pompa regale della sua corte e per la sua mollezza del vivere. 

Si diceva che si faceva addirittura imboccare dagli eunuchi per evitare la fatica di portare il cibo alla bocca. Quando si ammalò di un terribile morbo che le lacerava le carni e morì tra atroci sofferenze il popolo si convinse che fosse stata punita per i suoi comportamenti lascivi. 

Il Doge, nel frattempo, doveva dirimere la questione dei Normanni che occuparono le città della Dalmazia e che costrinsero i Veneziani alla guerra. 

Una volta che i nemici si ritirarono il Doge rinnovò i patti con i Dalmati facendosi promettere che non avrebbero mai più intessuto relazioni con i Normanni.

Questi ultimi, però, non demordevano ed attaccarono anche le terre Bizantine. Strinsero assedio a Durazzo ed i Veneziani vennero implorati dall'imperadore Alessio Comneno di aiutarlo per difendersi dai Normanni.

Siamo nel 1084 ed il Doge fa armare una flotta numerosa dando luogo ad una delle più sanguinose battaglie dell'Adriatico che segnò dapprima un successo per i Veneziani. I normanni però tornarono più volte a battagliare contro i nostri fino a riuscire a vincere la flotta veneta. 

Il popolo veneziano dette la colpa al Doge e chiese a gran voce la deposizione del Selvo che fu costretto a ritirarsi in un monastero. Alla morte venne sepolto nel portico della Basilica di San Marco ma senza elogio alcuno.

 

1084 - Vitale Falier

Vitale Falier e i Normanni

Il suo predecessore Domenico Selvo era entrato in guerra nel 1081 a fianco dell'Imperatore d'Oriente Alessio Comneno contro i Normanni che miravano ad impadronirsi di Durazzo per poi puntare su Costantinopoli. Aveva riportato notevoli successi, ottenendo dall'imperatore grandi privilegi fiscali per i mercanti veneziani, ma nel 1084 subì una grave sconfitta, che determinò la rivolta delle truppe.

Vitale Falier successe a Domenico Selvo e sconfisse i Normanni a Butrinto nel 1085.

 

La leggenda del ritrovamento del corpo di San Marco

Il suo dogado è ricordato per il trasferimento delle reliquie dell'evangelista Marco nella cripta; alcune tradizioni leggendarie riferiscono del miracoloso ritrovamento del corpo di Marco, di cui si era persa memoria dai tempi di Pietro IV Candiano, grazie a un fortuito cedimento strutturale; gli antichi mosaici, risalenti al XIII secolo, tuttora visibili nella parete del transetto sud della basilica di San Marco, si riferiscono appunto all'apparizione delle spoglie e alla celebrazione della loro scoperta.

 

La sepoltura accanto alla moglie

Il monumento funebre al doge Vitale Falier fu innalzato nel nartece della basilica di San Marco nella nicchia alla destra di chi entra dal portale principale, mentre nella nicchia di sinistra si trova quello dedicato a Felicia, moglie del doge Vitale I Michiel (1096-1102). La tradizione narra che in quest'ultima nicchia sia sepolto anche il doge Michiel e per questo motivo i due monumenti sono stati descritti come le tombe dei fondatori della basilica di San Marco.
Si tratta quindi di due importanti testimonianze di monumenti funerari dell'inizio del XII secolo.

 

Il monumento funebre

Il monumento funebre a Vitale Falier, in stile veneto-bizantino, si presenta come un barco edificato probabilmente su modello delle iconostasi bizantine che dividevano l'altare dall'area destinata ai fedeli, come a voler sottolineare la sacralità del defunto. Il monumento è scandito da quattro pilastri e suddiviso in due ordini, nella parte inferiore al centro si trova una lapide con epigrafe parzialmente corrosa dalla salsedine, mentre ai lati sono collocate due lastre scolpite a motivi geometrici. La parte superiore è decorata con tre lastre in marmo proconnesio finemente lavorate a traforo. Originariamente nella volta absidata, decorata con tessere di mosaico dorato, si poteva leggere una preghiera del doge a Gesù Cristo

1117 - Doge Domenico Michiel

Nel 1117 fu eletto Doge Domenico Michiel.

Baldovino II, re di Gerusalemme, inviò legati a Veneziani "onde avere soccorso contra gl'infedeli", promettendo vantaggi al commercio veneziano.

Ma durante le trattative Baldovino fu fatto prigioniero. Calisto II papa invitò i principi cristiani a liberare dalle mani degli infedeli il Re. 

Domenico Michiel, lesse al popolo la lettera del papa e si cimentò nell'impresa armando una flotta di 200 navi di cui prese personalmente il comando.

Il primo combattimento fu coi Saraceni ed il Doge ne uscì vittorioso. Entrata poi la flotta, nel porto di laffa, il Doge si recò a Gerusalemme dove fu accolto come un alleato trionfante. La necessità di fondi era tale che durante la missione scarseggiarono le monete, allora il Doge tagliò dei pezzi di cuoio e vi fece imprimere lo stemma di San Marco promettendo di cambiarle in moneta una volta tornati a Venezia, cosa che poi fece.

Successivamente i veneziani dettero supporto all'assedio di Tiro che terminò vittoriosamente nel 1125. Dopo Tiro i crociati si spostarono ad assediare Ascalona, che cadde.

A questo punto l'imperatore di Costantinopoli contrariato dalla presenza degli Europei in Palestina, ordinò che si attaccassero i bastimenti mercantili del Veneziani.

Il Doge rivolse la sua flotta all'isola di Rodi e la mise a soqquadro e pose a ferro e a fuoco Scio, Samo, Mitilene, Paros, Andro, Lesbo, e tutte le Cicladi, facendo molti schiavi. Sceso nella Morea s'impadroni di Modone: distrusse Belgrado ed altri luoghi della Dalmazia dimostratesi infedeli al veneto sovrano.

Dopo le molte vittorie il Doge tornò a Venezia dove morì nel 1129 e venne seppellito nella Chiesa di San Giorgio Maggiore. A lui è dedicato un epitaffio che si legge ancora oggi: "Terror Graecorum iacet hic et laus venetorum..."

Sepoltura: San Giorgio Maggiore

L'epitaffio del suo sepolcro descrive sinteticamente le imprese compiute da Domenico Michiel nel corso della sua carriera: "Terrore dei greci, lode di Venezia, eroico conquistatore di Tiro, autore di rovina della Siria e di pianto per l'Ungheria". 
Dopo tanti successi militari abdicò per ritirarsi nel monastero di San Giorgio Maggiore dove poco dopo finì i suoi giorni e fu sepolto nella chiesa in un monumento decorato con porfidi e marmi antichi. 
Il monumento venne demolito e le spoglie del doge perse. Un discendente del Michiel denunciò la cosa ed il Senato decretò la costruzione di una nuova tomba commemorativa affidando il progetto a Baldassarre Longhena che, oggi, vediamo nel vestibolo che precede il coro della basilica, dietro l'altare maggiore. Il busto è opera dello scultore Battista Pagliari. 

1172 - Sebastiano Ziani, Doge

Il 29 Settembre del 1172, all'età di Settant'anni viene eletto Sebastiano Ziani. Ziani fu il primo doge eletto da un'assemblea ristretta di nobili e non dall'assemblea di tutto il popolo. La sua elezione avvenne sei mesi dopo la morte del predecessore, dopo un conclave di tre giorni. Pare che sia stato il primo doge a distribuire denaro al popolo dopo l'elezione, inaugurando un'usanza che sarebbe sopravvissuta fino al 120°ed ultimo doge Ludovico Manin.

Barbarossa e il Papa

L'evento più importante del suo dogato fu l'incontro tra Federico Barbarossa ed il Papa Alessandro III che avvenne a Venezia nel 1177, l'anno dopo la battaglia di Legnano, significando la fine almeno momentanea delle dispute tra il papato e l'impero. In quell'anno fu siglata, non senza difficoltà, la cosiddetta "Pace di Venezia".

Le due colonne

Secondo la tradizione sotto il suo dogado vennero anche erette, ad opera di Nicolò Barattiero, le due colonne della piazzetta San Marco, sormontate l'una dal leone alato e l'altra da San Teodoro. Sempre secondo la tradizione esisteva una terza colonna che finì nel bacino di San Marco (di fronte alla piazza) durante lo sbarco e che non fu più possibile recuperare.

Piazza San Marco

Il Doge raddoppiò l'estensione della piazza facendo interrare il canale Batario e disponendo la ricollocazione della chiesa di San Geminiano

Quando poi la sua tomba fu distrutta quando la chiesa fu ricostruita, nel 1611, i suoi resti furono inumati nella cappella dei morti nella nuova chiesa e gli fu costruito un monumento in pietra d'Istria a sinistra della facciata della chiesa.

Morì il 13 Aprile del 1178.

 

Morte e sepoltura

Sebastiano Ziani abdicò nel 1178 per ritirarsi a San Giorgio Maggiore, ma, poco dopo, spirò lasciando in eredità alcuni dei suoi beni ai monaci.

Le vicissitudini del monumento al doge Sebastiano Ziani sono molto simili a quelle della tomba di Domenico Michiel. L'antico sarcofago marmoreo fu descritto da Francesco Sansovino e, secondo le fonti, riportava una lapide con un 'iscrizione che celebrata le gloriose gesta e le virtù del doge.

Perdita del sepolcro

Durante i lavori di costruzione della chiesa palladiana, i sarcofago, del quale non rimane traccia, fu aperto e furono rinvenuti i resti del doge e, probabilmente, dei suoi due figli.

Monumento in memoria

Nel 1610 i monaci decisero di erigere un nuovo monumento in memoria di Sebastiano Ziani, collocandolo sulla sinistra della facciata in pietra d'Istria, speculare a quello dedicato al doge Tribuno Menio.
I due monumenti sono identici, posti ai lati del pronao sopra un alto zoccolo, entro edicole architettoniche composte da due semicolonne sovrastate da architrave e timpano. Tra le colonne si eleva il cassone con l'iscrizione celebrativa sul quale si pose il sarcofago classicheggiante che sorregge il busto del doge

Altri vincoli del Doge di Venezia

Dal Doge Dandolo in poi vennero stabiliti dei vincoli ai Dogi:

  • non era ammesso che gli si baciasse la mano
  • non era ammesso che alcuno si inginocchiasse davanti al Doge
  • doveva pagare le tasse come tutti gli altri patrizi
  • doveva regalare un panno d'oro alla Chiesa di San Marco
  • doveva elargire ad ogni patrizio che aveva voto in Maggior Consiglio 5 anitre selvatiche, dono con il tempo divenne difficile da realizzare e fu sostituito da una moneta detta "osella".
  • né lui né i suoi familiari potevano vestire a lutto al di fuori del proprio palazzo

Anche se ormai escluso dai poteri reali di governo il Doge resta comunque un rappresentante della Repubblica, prendeva parte alle riunioni delle magistrature, vedeva il proprio nome sulle monete d'oro e d'argento che uscivano dalla Zecca di Venezia, riceveva le delegazioni straniere a Palazzo Ducale, vigilava sul funzionamento degli uffici

1178 - Orio Mastropietro

Nel 1178 al ritiro per malattia del Doge Ziani, poco prima della sua morte, succedette il nuovo Doge orio Mastropiero. L'elezione avvenne con un procedimento di doppio grado: 4 persone furono scelte per eleggere 40 elettori che elessero il Doge. 

Orio viene da una carriera in magistratura: diventa giudice nel 1158, poi svolge funzioni di legato a Costantinopoli e poi nuovamente giudice ed infine legato presso il re di Sicilia. 

I compiti politici che attendevano il Doge erano molteplici ed impegnativi. 

Sussisteva anzitutto la crisi orientale che solo con le guerre negli anni '80 tra Normanni di Sicilia e Bizantini sembrava avviarsi a soluzione, grazie all'aiuto di Venezia a Costantinopoli. La fine delle ostilità venne sancita con l'attribuzione dei privilegi imperiali concessi nel 1187.

Verso le città dell'entroterra Venezia sviluppava una intensa politica di accordi commerciali bilaterali, senza farsi coinvolgere direttamente nei conflitti con l'imperatore Federico Barbarossa.

 

1192 - Enrico Dandolo

Il Doge Enrico Dandolo apparteneva ad una famiglia veneziana di antica tradizione anche se non sempre in posizione di rilievo, ma che si afferma sempre di più anche grazie all'opera di Enrico, giunto molto vecchio alla dignità ducale. 

Un primo Dandolo, Vitale, compare in un documento pubblico nel 982, Un Domenico, attestato quale giudici nell'anno 1131, sarebbe il padre di Enrico. Altri Dandolo nel pieno secolo XII furono fra i protagonisti della vita politica. Tre rivestirono per periodi anche lunghi l0ufficio di giudice: Vitale (1144 - 1166), Andrea (1173 - 1188), Cratone (1170).

Enrico appare in un documento pubblico per la prima volta nel 1164. Legato a Costantinopoli nel 1172, Giudice nel 1176, fra gli elettori dogali nel 1178, nuovamente legato a Costantinopoli nel 1184, ambasciatore a Ferrara per il trattato del 1191. 

Enrico si trova a governare venezia in un periodo in cui la penetrazione commerciale nell'entroterra Veneto e Padano era in crescita grazie anche alla sicurezza delle vie fluviali, raggiunta grazie alle trattative commerciali bilaterali con le città interne. 

Ma i rapporti con l'Impero d'Oriente erano ancora tesi, specie dopo l'scesa al trono di Alessio, il fratello dell'imperatore Isacco. Sempre in politica estera c'era la crisi con la Dalmazia e con Zara. Come è noto il Dandolo risolverà entrambe le questioni dirigendo personalmente la Crociata del 1204 che si concluderà con la conquista ed il sacco di Costantinopoli

Morte e sepoltura

Enrico Dandolo morì ultranovantenne a Costantinopoli e fu sepolto nella Chiesa di Santa Sofia. Esistono molte leggende in merito alla tomba del Doge, alcune delle quali sostengono che il monumento funebre fosse composto da un sarcofago marmoreo decorato con rilievi raffiguranti il leone marciano e il corno ducale. 

Recentemente la Chiesa di Santa Sofia è diventata una Moschea, per cui non è facile visitarla. A memoria del Doge rimane una semplice lastra in marmo incorniciata da un riquadro dove si legge l'iscrizione "Henricus Dandolo". Molto probabilmente dobbiamo la lastra all'architetto Gaspare Fossati che, tra il 1847 ed il 1849 restauro il complesso di Santa Sofia. 

Con Enrico Dandolo si inaugura la consuetudine delle Promissioni Dogali. La promissione dogale si modificherà ed evolverà nel tempo, tenendo conto di accadimenti e limitando progressivamente il potere del Doge. Nella prima promissione il doge Dandolo prometterà di impegnarsi su questi fondamentali punti: 

  • Governare rettamente secondo giustizia.
  • Accrescere il prestigio di Venezia.
  • Rendere prontamente giustizia a tutti.
  • Applicare le leggi in maniera imparziale.
  • Fare giustizia dei documenti falsi.
  • Mantenere il segreto di quanto dibattuto nei consigli.
  • Non riscuotere né appropriarsi di beni o rendite spettanti alla città
  • Non concedere a nessuno il sigillo del Ducato.
  • Armare a proprie spese almeno dieci navi
  • Non influenzare l'elezione dei Vescovi e del Patriarca.
  • Non inviare lettere personali al Pontefice, all'Imperatore o ai Re.
  • Non nominare di proprio arbitrio giudici e notai.
  • Rispettare la collegialità nella gestione del potere.
  • Mantenere il buon accordo tra il Minor ed il Maggior Consiglio 

1205 - Pietro Ziani

Nel 1205 Venezia era in un momento di pieno successo nella politica estera, soprattutto per la conquista di Costantinopoli e la formazione dell'Impero latino. 

L'elezione del Doge avviene con un doppio grado: 6 consiglieri del consiglio minore del doge defunto, scelsero i 40 elettori del Doge. 

Pietro Ziani, prima di diventare Doge, fu giudice per un lungo periodo. 

1329 - Francesco Dandolo

Figlio di Giovanni, detto Cane, del ramo di San Luca nasce a Venezia nel 1258 e muore nel 1339. Scarsissime le notizie biografiche a lui relative prima della sua elezione a doge di Venezia, avvenuta il 4 gennaio 1329. Certo è che fu bailo a Negroponte negli anni 1302-1304, mentre nel 1307 era membro della Quarantia e nel 1309 concluse un trattato commerciale per conto di Venezia con i vicini trevigiani.

Sempre quell'anno venne anche mandato in missione diplomatica ad Avignone per comporre il dissidio creatosi tra la Repubblica e il papa Clemente V per il dominio di Ferrara, che aveva portato alla guerra con la Santa Sede del 1308 e alla relativa scomunica della città lagunare. La missione fu lunga e difficile e si concluse solo quattro anni dopo, nel gennaio del 1313, quando il papa scrisse al doge Giovanni Soranzo, annunziando il rientro di Venezia nella Chiesa.

Rientrato da questa difficile missione alcuni mesi dopo, il Dandolo venne accolto con grandi onori. Da allora fu tutto un susseguirsi di incarichi che lo portarono spesso fuori dei confini della patria: in Romania nel 1314, a Capodistria nel 1315 e 1321, a Negroponte nel 1317, a Zara nel 1321.

Elezione a Doge

Il 4 gennaio 1329 venne eletto doge succedendo a Giovanni Soranzo.
Il suo fu un governo segnato da frequenti scontri e guerre con le signorie confinanti, in particolare fu piuttosto serio il conflitto del 1336-1339 contro gli Scaligeri che da alcuni anni avevano intrapreso una politica di espansione (da notare che in questa occasione venne introdotta la coscrizione obbligatoria, anticipando di secoli quello che avverrà con Napoleone).

Morte e sepoltura

Morì il 31 ottobre 1339 e fu sepolto nella sala del Capitolo del convento di Santa Maria Gloriosa dei Frari, da dove venne rimosso durante l'occupazione francese e trasferito al museo del Seminario vescovile

1306 - Dandolo Andrea

Andrea Dandolo nasce nel 1306 e muore nel 1354. Fu uomo di cultura giuridica e storica, protettore delle arti, convinto assertore dell'importanza della nuova cultura "preumanistica" nella gestione dello stato. Il suo cursus honorem nella vita pubblica veneziana fu precocissimo portandolo alla dignità di doge nel 1343 carica che detenne per 11 anni fino alla morte.

La sua amministrazione è strettamente legata alla sua formazione culturale, basandosi essenzialmente sul tentativo di riordino dello stato su solidi fondamenti giuridici e su una fede profonda nel valore della storia per la coesione dei popoli.

Frutto di queste convinzioni  sono le sue opere storiche, soprattutto la cosiddetta "Cronica per ex tensum descripta" (dal 48 d.C. al 1280), fonte importante per le vicende storiche veneziane del Medioevo.

Se la sua figura fu odiata e diffamata in vita, a causa soprattutto del disastroso conflitto con Genova, oltre che dei difficili equilibri sociali che lo resero inviso ad ampi settori della nobiltà, è vero tuttavia che la sua fu opera illuminata, di uomo di cultura più che d'azione, votato al rinnovamento della Repubblica e in primo luogo della sua Cancelleria.

La relazione con Petrarca si inquadra evidentemente in questo sfondo: con il poeta ebbe uno scambio di lettere, anche grazie alla mediazione del suo colto cancelliere Benintendi Ravagnani, riguardanti principalmente la soluzione del conflitto genovese, per ottenere la quale il poeta fu mandato a Venezia come mediatore per conto dei Visconti, senza però ottenere udienza da parte del doge.

Il giudizio petrarchesco riconosce le qualità intellettuali e l'inclinazione alla pace del Dandolo, ma ne rileva la debolezza nel volere una guerra cui, per sua natura, sarebbe stato contrario. Nel battistero di San Marco è visibile un suo ritratto fatto a mosaico (XIV secolo) che lo mostra inginocchiato, in preghiera, davanti a Cristo in croce.

1400 - Doge Michele Steno

Il 19 Dicembre 1400 dopo essere stato eletto doge, Michele Steno assume ufficialmente l'incarico. Dalle feste in suo onore avranno origine le "'Compagnie della calza". Erano così chiamati quei gruppi di nobili che organizzavano feste, ricevimenti, ecc. Il nome deriva dai loro pantaloni, molto stretti e lunghi, simili appunto a calze. Erano parecchio vistosi, a più colori e con ricamate stelle, animali, arabeschi e altre decorazioni.  

1462 - Cristoforo Moro

Il 9 Novembre del 1471 muore il doge di Venezia Cristoforo Moro.

Benché fosse uomo colto e pio, non godette il favore del popolo e dei cronisti che così lo descrissero: «Tristo ipocrita, vindicativo, duplice, avaro et mal vegiudo dal popolo».
Inesperto di cose militari, si dice fosse anche molto pauroso. Invitato a partecipare alla crociata contro i turchi, bandita dal pontefice Pio II°, si mostrò assai riluttante tanto da provocare (a quanto si racconta) la reazione del capitano Vittore Cappello che in pieno Maggior Consiglio ebbe a dirgli rudemente: «Serenissimo principe, se no la vorà andar co le bone, la faremo andar par forza; perché gavemo più caro el ben e l'onor de sta tera che no xe la paura vostra ».

Nel suo testamento lasciò scritto che fossero celebrate mille messe durante i suoi funerali, e destinò i suoi beni alla costruzione di case per i poveri e al compimento della Chiesa di S. Giobbe, dedicata anche a s. Bernardino da Siena che gli era amico e che gli aveva predetto l'elezione al dogado.

 

1471 - Doge Niccolò Tron

II Procuratore di San Marco Nicolò Tron, ricco per censo famigliare e per l'attività di mercante che esercitava a Rodi, divenne Doge a 74 anni, succedendo a Cristoforo Moro, il 25 Novembre 1471.
Di lui si disse che era brutto di faccia, corpacciuto, non abile a parlare ma di grande e generoso animo. Sembra che la morte del figlio Giovanni a Negroponte lo afflisse al punto che per tutta la vita portò la barba insegno di lutto, senza mai tagliarla, cosa che peggiorava il suo aspetto.
Il piano grande merito del Doge Nicolò Tron fu quello di rimettere ordine nelle finanze pubbliche dissestate dalle lotte contro i turchi.
Molto abile nel maneggio del denaro, egli non toccò le fasce di popolazione meno abbienti, ma introdusse invece un’imposta sui patrimoni più consistenti, ridusse gli stipendi pubblici più elevati e svalutò (forse per la prima volta nella storia) la moneta veneziana mediante l’introduzione della lira d’argento (chiamata in suo onore trono), della mezza lira d’argento e del bagattino di rame.

Il Doge fu abile anche a gestire la vicenda di Caterina Corner, che divenne regina di Cipro sposando il Re Giacomo Lusignano. Poco dopo il matrimonio Re Giacomo morì (a Famagosta il 7 Luglio del 1475) lasciando Caterina Regina dell'isola che divenne prima un protettorato veneziano ed in seguito un dominio dello Stato Veneto.

Sempre sotto il Dogado Tron il celebre Bessarione, Vescovo di Tuscolano, aveva scelto Venezia come destinataria dei preziosi codici e libri che aveva collezionato in vita. Con questa donazione ebbe inizio la biblioteca Marciana.

Il Doge Tron morì il 28 Luglio 1475 e fu sepolto nella Chiesa dei Frari. Il suo monumento funebre, forse il più grandioso di tutto il Rinascimento, fu opera di A. Rizzo ed è collocato di fronte a quello del suo predecessore, Francesco Foscari.

 

1473 - Doge Niccolò Marcello

La guerra tra veneziani e turchi continuava in tutte le isole dell'Arcipelago e nei lidi della Grecia. Ma Nicolò Marcello, procuratore di San Marco, era di indole pacifica e la sua speranza era proprio quella di mettere fine a quel flagello di sangue. 

Fu eletto Doge il 15 Agosto del 1475, a 76 anni. Era sposato con una Contarini ed aveva una figlia, monaca. 

In gioventù Nicolò si era dedicato al commercio a Damasco, con fortunati successi, per poi tornare in patria e dedicarsi alla ragion di stato. Funzionario integerrimo, inesorabile verso coloro che mancavano di zelo nel condurre l'amministrazione pubblica. 

Durante il suo Dogado ci fu l'insurrezione a Cipro che portò alla morte di Andrea Corner, zio della Regina di Cipro Caterina Corner e di Marco Bembo, suo nipote. Il Doge inviò una flotta capitanata da Pietro Mocenigo, che in breve riportò la pace sull'isola destinata a diventare parte dello stato Veneto.

Il Dogado di Marcello durerà solamente 15 mesi ma fu segnato anche dalla costituzione di una lega contro il turco, formata da Venezia, Dal Papato, dal Duca di Milano e dalla Comunità di Firenze. Così come la lega con gli Ungheresi, sempre per combattere il comune nemico. 

In quel periodo Gentile e Giovanni Bellini incominciavano ad ornare, con i loro meravigliosi dipinti, la Sala del Gran Consiglio, opere purtroppo che sarebbero andate distrutte con l'incendio del 1578,

La vita del Doge volgeva al termine: si trovava in processione quando sentì una fitta al ventre. I soccorsi non poterono far nulla perché il Doge non si rialzerà più dal letto di morte. Il primo dicembre del 1474 venne tumulato nell'isola della Certosa, nel luogo dove si seppellivano i frati. Per sua memoria venne però innalzato anche un monumentonell'altare maggiore della Chiesa di Santa Marina, una delle chiese sconsacrate e poi distrutte dalla furia Napoleonica.

1474 - Doge Pietro Mocenigo

Il dogado di Pietro Mocenigo fu breve: quando venne eletto soffriva già di malaria presa a Scutari.

Il suo dogato durò appena 15 mesi, ma fece in tempo a lasciare a perenne suo ricordo il nome ad una moneta, la lira d’argento, detta in suo onore il mocenigo.
Fu sepolto nella Chiesa di S. Giovanni e Paolo (Castello).
Il monumento funebre, opera di Pietro Lombardo e dei figli Tullio Lombardo e Antonio, venne terminato nel 1481.

Durante il suo dogato avvenne un’altra morte illustre: quella di Bartolomeo Colleoni e la Serenissima avutane la gestione dell’ingente eredità lasciata dal condottiero bergamasco, ma ben attenta a evitare il culto della personalità dei propri condottieri, onorò solo in parte il desiderio testamentario di essere ricordato da un monumento equestre da erigersi innanzi a san Marco, infatti, il monumento fu furbescamente eretto in posto meno prestigioso che presentava un riferimento a San Marco, Campo San Giovanni e Paolo (San Zanipolo) dove ha per l'appunto sede la scuola di San Marco

1491 - Da Ponte Nicolò

Primogenito di Antonio e di Regina Spandolin, nacque a Venezia il 15 gennaio 1491, in una casa della parrocchia di Sant' Agnese, al Ponte della Calcina. Dopo aver seguito studi di filosofia a Padova, si addottorò a Venezia, nel 1514, nell'arte dei "dotori medici". Tuttavia nei primi due decenni della sua vita professionale si dedicò principalmente alla mercatura, attività che gli consentì di accumulare una certa fortuna tanto da permettergli di costruire il famoso Palazzo Da Ponte a San Maurizio.

Nel 1520 sposò Arcangela Canal che gli diede due figli, Antonio e Paolina. A partire dal 1532 inizia la sua carriera politica: è di quell'anno, infatti, la sua nomina di bailo a Corfù, dove rimase fino al 1535.

Tornato in patria fu nominato senatore (1535), avogadore (1540), luogotenente della Patria del Friul (1541) dove si rese protagonista di importanti maneggi diplomatici con la casa d'Austria, ambasciatore ordinario presso l'imperatore Carlo V(1542). Con questa ambasceria il suo prestigio crebbe enormemente e da allora fu tutto un susseguirsi di incarichi pubblici, uno più importante dell'altro, che lo portarono prima al Consiglio dei Dieci (si, 1555 e 1557), poi a essere nominato podestà di Padova (1558-1559): quindi, procuratore di San Marco de ultra (1567).

Quest'ultima nomina premiava la sua strenua difesa di una politica pacifista che, durante la guerra di Cipro combattuta contro i turchi, voleva evitare uno scontro certamente perdente e che tendeva, grazie a importanti alleanze col papato e con la Spagna, a far uscire Venezia dall'isolamento in cui si trovava

Venne eletto doge il 18 marzo 1578, senza non pochi contrasti, visto che ci vollero ben 40 scrutini prima che gli elettori dogali arrivassero a trovare unanime consenso verso il suo nome. Il suo fu un governo tranquillo, durante il quale venne decisamente rilanciata l'idea della neutralità. Così vennero rifiutate alleanze con i russi e con i persiani contro l'impero ottomano e perfino la lotta ai pirati uscocchi venne mi dotta al minimo.

In tale situazione la finanza veneziana si risanò, il debito pubblico venne completamente estinto, venne creata una banca pubblica (1584) e cessarono i molti fallimenti di banche private. Il vecchio doge, ultranovantenne, morì il 30 luglio 1585 e venne sepolto nella chiesa della Carità. Purtroppo le sue ceneri andarono disperse nel 1807 quando la chiesa venne demolita

1501 - Doge Leonardo Loredan

Con il Doge Loredan Venezia affronta uno dei periodi più bui della propria storia in cui si trova a combattere, sola, contro tutti gli stati europei, oltre che con i Turchi. 
 
Il Doge viene eletto nel 1501 e Venezia ha aggiunto, ai propri domini da mar, quelli di terraferma. In quel tempo i domini da Mar vedono la Serenissima dominare Cipro, Candia, la Morea e diversi territori del Golfo di Venezia (ora Mar Adriatico), ma a provocare invidia e fastidio ai regnanti europei sono i nuovi domini veneziani nella penisola.

 
Papa Giulio II ed il cardinale d'Amboise, ministro di Luigi XII, furono gli organizzatori di una lega anti-veneziana i cui termini vengono stabiliti, assieme a Cambray, il 10 Dicembre 1508. In questa data si stipula uno straordinario trattato che ha come obiettivo quello di eliminare lo Stato Veneto. La lega di Cambray vede come partecipanti il papa, Lodovico re di Francia, anco l'imperatore d'Austria, il re d'Aragona Federico, Carlo duca di Savoja, Alfonso duca di Ferrara e Francesco duca di Mantova. Nel patto si stabilisce anche come dovranno essere smembrati e a chi andranno destinati i domini veneziani.


La guerra dei veneziani contro la lega di Cambrai è una lotta impossibile, di un singolo stato contro l'intera Europa. Venezia perde la prima battaglia ad Agnadello e si ritira, arretra, dapprima. Contemporaneamente mette in moto la politica, mandando i propri ambasciatori a cercare di indebolire l'alleanza tra gli stati, insinuando il sospetto, la diffidenza, il dubbio. Nel 1516, dopo otto anni di guerra, Venezia si riprende tutti i propri domini, grazie anche ai popoli dei domini che lottano contro i nuovi occupanti al grido di Viva San Marco. 

La guerra costò molto ai veneziani, sia in termini di vite umane che economicamente, eppure Venezia trovò il modo di investire in nuove fortificazioni a Padova e a Treviso, ma anche in nuove galee per aumentare la flotta per tenere testa agli ottomani, che, insediavano i domini ad Est. 

Oltre alle spese di guerra, durante il Dogado di Loredan, si posarono i tre piloni di Bronzo che ancora oggi vediamo in Piazza San Marco, di fronte alla basilica, con l'effige del Doge.

Il Doge Loredan cessò di vivere all'età di 90 anni, il 22 Giugno del 1521 ed oggi riposa nella Basilica di San Giovanni e Paolo, in un meraviglioso monumento. Nonostante il comportamento tenuto durante la guerra alla lega di Cambrai e la devozione alla Repubblica fu inquisito dopo la morte e gli eredi dovettero sborsare ben 9.500 ducati. 

1553 - Marcantonio Trevisan

Marc'Antonio Trevisan venne eletto il 5 giugno del 1553.

Era un uomo pio e religiosissimo, assolutamente alieno dalla guerra e dedicò il suo dogado alle opere di religione raccomandandosi continuamente ai giudici di essere solleciti e giusti nelle loro sentenze.

Si preoccupò di frenare alcuni costumi in città, per esempio impedendo le feste notturne

Leggenda dice che, quando era procuratore di San Marco, una notte si sentì destare da una voce che lo avvisava della presenza di un povero pellegrino sdraiato in terra sotto ai portici, in piazza. Si recò a verificare e trovò Ignazio da Lojola, fondatore della compagnia di Gesù, che accolse immediatamente come ospite nel magnifico palazzo di sua famiglia, in parrocchia di s. Giovanni in Oleo, sul rio detto "della canonica"

Ben poco durò sul seggio questo Doge, che prima ancora dell'anno, cioè il giorno 31 maggio 1554, spirò mentre pregava davanti alla croce, come era solito fare.

Il suo corpo fu tumulato nella Chiesa di San Francesco della Vigna.

1554 - Doge Francesco Venier

Il Doge Francesco Venier venne eletto l'11 Giugno del 1554. Per Venezia era un periodo di pace e sempre nuovi edifici sorgevano sia privati che pubblici. 
In quel periodo a Venezia arrivò il cardinale di Lorena, inviato dal Re di Francia per trattare l'amicizia con la Repubblica Veneta ed anche la figlia di Giovanni Galeazzo duca di Milano, vedova del Re di Polonia, di passaggio da Venezia per tornare al suo ducato di Bari. 
La Repubblica rese onore ad entrambi i personaggi con un accoglienza in cui si profusero sfarzi, lussi, feste e banchetti. La regina fu poi accompagnata alla galea con cui avrebbe percorso l'adriatico.
Purtroppo fu un dogato breve: non erano ancora passati due anni dall'elezione che il Doge venne a mancare, universalmente rimpianto. Ebbe fama di uomo di cultura e di appassionato studioso e fu sepolto all'interno della chiesa di San Salvador, in un magnifico sepolcro scolpito dal Sansovino.

 

1556 - Doge Lorenzo Priuli

Lorenzo Priuli fu meritatamente eletto il giorno 14 giugno 1556, in mezzo ad acclamazioni di pubblica esultanza. Continuavano i giorni di pace e quiete, per la Serenissima. 

Venne anche incoronata Zilia, figlia di Marco Dandolo, moglie del Doge. La Dogaressa sbarcò dal Bucintoro e accompagnata da molte dame salì le scale di Palazzo Ducale.

I festeggiamenti per l'elezione durarono tre giorni ma tutta questa felicità ebbe ben presto fine e lasciò il posto a lutti e pianti: arrivò, infatti, il flagello della peste che colpiva Venezia più di altri paesi probabilmente per i continui contatti e commerci con i paesi orientali.

Nel 1557 si diede opera alla fabbrica della Chiesa san Geminiano, secondo il disegno di Jacopo Sansovino. Questo raro edifizio, tanto celebrato da nazionali e dagli stranieri, per la semplicità della pianta, per l'armonia del complesso, e per la spontaneità e gentilezza delle forme, classico all'occhio dell'intelligente, meraviglioso a quello di tutti, scomparve dal mondo a causa di Napoleone e dei suoi architetti che pensarono bene di demolirla per edificare uno scalone ed una sala da ballo.

Dopo circa tre anni di governo, terminò la vita di questo doge nel 1559. Fu lodato da Leonardo Giustiniano; venne sepolto in chiesa a san Domenico di Castello, che fa parte delle chiese veneziane scomparse a causa dei francesi. 
Ma la memoria di questo doge la troviamo nella Chiesa di San Salvador, grazie al magnifico monumento architettato da Cesare Franco, e posto dirimpetto a quello del suo antecessore Francesco Veniero.

 

Girolamo Priuli, Procuratore di San Marco fu eletto Doge il primo settembre 1559. Era una stagione privilegiata: la pace consentiva ai veneziani di dedicarsi alle arti, alla scienza, ad ogni campo dell'umano sapere. Ovunque nella città nascevano palazzi e case. Anche a Palazzo Ducale veniva aggiunta la scala dei Giganti, con i due colossi marmorei, rappresentanti Marte e Nettuno, scolpiti da Jacopo Tatti detto il Sansovino.

La Repubblica Veneta accolse il Codice Tridentino, atto, questo, che le valse la riconoscenza di Pio IV, che volle donarle il palazzo detto di San Marco, in Roma, dimora, da allora, degli ambasciatori Veneziani.

In questo periodo si tentò di porre riparo agli eccessi del gioco permesso: venne determinato il numero delle persone che potevano insieme unirsi, il tempo ed il luogo del convegno, ed anche la somma che era lecito giocare.

Grandi somme vennero investite per ristrutturare le fortificazioni di Bergamo, quelle di Udine, ed in genere per aumentare le difese danneggiate dalla guerra contro la lega di Cambrai. Altre somme vennero investite per ricostruire Cattaro, distrutta dal terremoto. 

Sotto questo Doge fu battuto per la prima volta, nel 1561, il Ducatus Venetus, di valore pari a quello del zecchino di allora. Il Doge fu capo di stato per 8 anni ed 11 mesi fino alla morte, il 4 novembre del 1567.

Il corpo di lui fu sepolto nella chiesa di San Domenico di Castello, una delle chiese veneziane distrutte da Napoleone.

1567 - Doge Pietro Loredan

A ottant'otto anni, dopo nove giorni di malattia, afflitto da febbre e "catarro", muore il Doge Leonardo Loredan della contrada di S. Pantalon, detti «campanoni », cioè duri d'orecchio, dopo due anni e cinque mesi di dogado.
Il suo funerale venne fatto a S. Marco sotto una pioggia torrenziale.
Eletto a 86 anni, nel 1567, la sua nomina fu dovuta al contrasto sorto fra gli elettori che, dopo 14 giorni di sedute e 76 votazioni, non erano ancora d'accordo sull'uomo da eleggere.
Il breve dogado del Loredan fu turbato da due sciagure: un incendio all'Arsenale e una gravissima carestia. In seguito alle misure prese in quest'occasione, fu accusato dal popolo d'aver dato disposizioni ai fornai perché confezionassero il pane con il miglio:
Viva San Marco con la Signoria
l'é morto el Dose de la carestia
si cantò allegramente alla sua morte, nel 1570. E buon per lui che durante i funerali infuriò il maltempo tenendo lontani i popolani già pronti (si dice) a gettare pagnotte di miglio sul suo cataletto.
 

1570 - Alvise Mocenigo

Quando, il 5 marzo del 1570, Alvise Mocenigo venne eletto 85° Doge di Venezia, le ostilità con i Turchi per il regno di Cipro erano già iniziate. L'isola era divenuta veneziana dopo il matrimonio dell'indebitatissimo Re Giacomo Lusitano con la giovane e ricca veneziana Caterina Corner e dopo che Caterina, rimasta vedova, viene convinta ad abdicare e a cedere Cipro alla Serenissima. Gli ottomani, da sempre, vantavano diritti sull'isola ed erano determinati a prenderla. Espugnarono dapprima Nicosia e poi circondarono Famagosta con un durissimo assedio di 75 giorni. La flotta veneziana di soccorso era in arrivo ma era ancora lontana e la scarsità di cibo ed acqua costrinse alla capitolazione. 

Il capitano Marco Antonio Bragadin concordò la resa con il barbaro Mustafà che, poi, non li rispettò. I Veneziani furono oggetto di efferate violenze e più di tutti a soffrire sarà proprio il Bragadin che fu torturato per giorni, quindi spellato vivo e trasformato in un orribile pupazzo impagliato per dimostrare alla popolazione sottomessa la violenta furia dei turchi. La sua pelle venne recuperata dai veneziani e si trova oggi in un urna nel monumento dedicato al Bragadin nella Basilica di San Giovanni e Paolo.

Perduta Cipro, e con i Turchi decisi a dare il colpo di grazia a Venezia le due flotte si incontrarono a Lepanto e, la domenica del 7 ottobre 1571, avvenne una delle più grandi battaglie mai combattute sul mare, con la vittoria dei cristiani (cioè dell'alleanza tra Veneziani, papato, ed impero Austriaco).
In nove ore di combattimento si stimano siano morte più di 40.000 persone, tanto che il mare "rosseggiava di sangue".

Durante il luglio 1574 Alvise Mocenigo, in qualità di doge ricevette la visita di Enrico III, nuovo Re di Francia, di passaggio per Venezia dalla Polonia per ricevere il nuovo trono.

L'anno successivo venne firmata la pace con i Turchi ma Venezia era già alle prese con un altro nemico, ben più terribile e subdolo: la Peste che produsse più di 50.000 morti nella città lagunare, tra cui quel Tiziano Vecellio che tanto aveva dato all'arte veneta. 

Il doge cessò di vivere il 5 giugno del 1577 e venne sepolto nella Chiesa di San Giovanni e Paolo.

1577 - Doge Sebastiano Venier

Il vincitore dei Turchi nelle acqua di Lepanto, Sebastiano Venier, divenne Doge l'11 giugno del 1577. Un giusto premio a chi aveva fermato gli ottomani e salvato la cristianità. L'elezione fu accolta da generale entusiasmo sia all'interno di Palazzo Ducale, sia dal popolo. 

Sotto il suo dogado venne tenuta la prima festa del redentore, la terza domenica di luglio del 1577, nella chiesa edificata per ottenere la liberazione dalla Peste e dedicata al Santissimo Redentore. Dopo la messa a San Marco una lunga processione percorse il ponte di barche che dalla piazzetta permetteva di raggiungere, a piedi, l'isola della giudecca. 

L'anno successivo, il 1578, fu funestato da un grave incendio che il 15 gennaio, a causa di una canna fumaria malfunzionante, comportò la devastazione di una parte di palazzo ducale. L'incendio colpì la Sala del maggior consiglio, quella dello Scrutinio, le Sale del Collegio de X, del Collegio de XXV, la Quarantia Civil Nuova, ed anche l'Archivio de' Notari morti e la Cancelleria.
Questo incendio distrusse per sempre capolavori inestimabili, opere di Guariento de Vivarini, di Gentile da Fabriano, del Pisanello, de Bellini, di Vettore Carpazio, di Tiziano, del Pordenone... fu una delle più grandi perdite artistiche per l'umanità.

Nel frattempo il Doge, invecchiato forse anche dal dolore per questa sventura, morì il 5 marzo del 1578 e fu sepolto nella chiesa di s. Maria degli Angeli in Murano.

1585 - Doge Pasquale Cicogna

Pasquale Cicogna è il secondo doge eletto tra i "nobili nuovi" nel 1585. Uomo molto religioso, diligente e preciso nel proprio ruolo. Durante il suo Dogado il Re di Francia Enrico III cade vittima del domenicano Jacopo Clamente e Venezia tributò, tra le prime, tramite il proprio ambasciatore, onori al successore Enrico IV riconoscendolo legittimo erede.

A Candia la peste continuava a mietere vittime e Venezia inviava aiuti e la proteggeva dalla minacce dei turchi che sembravano voler approfittare della situazione. 

Durante il dogado di Pasquale Cicogna venne sistemata l'ala di Palazzo Ducale che si incendiò nel 1578 e si completò il Ponte di Rialto, ricostruito in pietra dopo il crollo del precedente in legno.
Nello stesso periodo, sempre per prevenire gli attacchi degli ottomani da Nord, si innalzò la fortezza di Palmanova in Friuli.

Dopo 9 anni di buon governo il Doge muore e viene sepolto nella Chiesa dei Gesuiti. 

1595 - Doge Marino Grimani

A Pasquale Cicogna successe il Doge Grimani nel 1595. Il 26 Aprile di quell'anno, dopo un movimentatissimo conclave durato ben ventiquattro giorni con circa settanta scrutini, viene eletto Doge Marino Grimani.

È di Famiglia ricchissima, proprietaria tra l'altro oltre che del palazzo di San Luca, dell'osteria dello Storione in riva del Vin a Rialto e di molti terreni a Carrara, Padova, Strà , Montagnana, in Polesine e a Treviso.

Marino Grimani viene ricordato per il suo carattere affabile e amabile che lo fece amare dal popolo ma anche per le incredibili somme spese nei festeggiamenti per la sua elezione a Doge.

Durante il suo dogado di segnala la ripresa della pirateria da parte degli Uscocchi, già repressa aspramente in passato, che tornava a mettere in difficoltà la navigazione ed il commercio. Il senato decise di inviare una flotta guidata da Giovanni Bembo contro di loro. Il Bembo ottenne la promessa della fine degli atti di pirateria. Di lì a poco si dovette tornare a minacciare altre rappresaglie perché alcuni pirati continuavano a disturbare le rotte veneziane. 

Nello stesso periodo il Duca di Ferrara morì senza prole lasciando erede il cugino Cesare D'Este. La successione fu osteggiata dal papa Clemente VIII che la ritenne illegittima ma i veneziani intervennero a difesa dell'erede. Il papa decise di scomunicare sia l'erede che i suoi difensori invitando a prendere le armi contro questa successione. L'Estense alla fine rinunciò ed il ducato di Ferrara da quel momento fece parte dello Stato della Chiesa.

Le discordie con il papato sarebbero state ben peggiori con il successore di Clemente VIII che morì nel 1605. Il conclave elesse quel Paolo V che fu protagonista di una guerra di scomuniche, interpelli e contromisure tra la serenissima e lo stato della chiesa.

Quando morì il Doge venne seppellito a San Giuseppe di Castello.

1615 - Doge Giovanni Bembo

Nel Dicembre del 1615 dopo una laboriosissima elezione durata ben ventiquattro giorni e con centoquattordici votazioni viene eletto doge Giovanni Bembo all'età di settantadue anni. Tutta la sua vita si era svolta sul mare al servizio della Patria, infatti a 12 anni era già imbarcato quale "nobile d'armar".

Aveva valorosamente combattuto nella battaglia di Lepanto, percorso tutti i gradi dell'armata navale e raggiunto il grado massimo, quello di "capitano generale da mar”, riconfermato più volte.

Durante l'incoronazione avendo la testa molto grossa, il corno ducale era sempre sul punto di cadere, tanto che a metà cerimonia sulle scale se lo tolse, sostituendolo con un suo berretto.

 

1631 - Doge Francesco Erizzo

Il 3 gennaio 1646 all'età di ottant'anni, dopo ben quindici di dogado, muore Francesco Erizzo, sembra per le fatiche riportate durante i preparativi e lo studio dei piani di guerra contro i turchi, invasori dell’isola di Candia.

Il suo attaccamento alla Patria era tale che lascio scritto nel suo testamento: 

Lascio il cuore alla Patria e che venga seppellito in alcun angolo dell'altar maggiore della chiesa ducale di San Marco

E così fu! La sua tomba si trova nella chiesa di San Martino di Castello, mentre il suo cuore si trova nel pavimento della basilica di S. Marco, al lato dell' altar maggiore, a contrassegnane ancora oggi il luogo esatto c'è una lastra di marmo con un cuore di porfido al centro, con a sua volta un piccolo corno dogale sovrastante un porcospino simbolo degli Erizzo.

1646 - Francesco Molin

Nel 1646, all'età di 71 anni, dopo 23 scrutini viene acclamato Doge Francesco Molin.
Fin dalla tenera età si era dedicato alla Carriera Militare tanto in terra che in mare, raggiungendo i più alti Gradi. All'atto della proclamazione era Provveditore Generale da Mar, durante la terribile guerra di Candia contro i Turchi. 

 

1668 - Doge Francesco Morosini

Francesco Morosini, patrizio veneziano nato nel 1619, fu il 108° doge della Repubblica di Venezia, il quarto della sua casata.
Venne eletto all’unanimità alla carica dogale per quelli che oggi chiameremmo “meriti di guerra”, in quanto, nella campagna militare navale e terrestre condotta in Grecia contro gli Ottomani tra 1684 e 1688, riuscì a conquistare l’intero Peloponneso – chiamato un tempo Morea – ai possedimenti della Repubblica.

Ricevette per questo motivo l’appellativo onorifico di Peloponnesiaco, con il quale ancora oggi lo si ricorda.

Non sempre però, negli anni precedenti, i successi erano stati altrettanto brillanti.

 

La Guerra di Creta

Al termine della “guerra di Candia”, nel 1669, dopo che per 25 anni la capitale dell’isola veneziana di Creta era riuscita a resistere all’assedio ottomano, il comandante Morosini, resosi conto che la posizione era ormai indifendibile di fronte al soverchiare del nemico, aveva deciso di cederla alle forze del sultano e di porre così termine al conflitto.

Al ritorno a Venezia dovette subire un’inchiesta sul suo operato, che, anche se si concluse con un pieno proscioglimento, mise comunque in luce una serie di mancanze; ma, soprattutto, fu costretto per mesi a sopportare un pesante clima di linciaggio morale da parte dei veneziani, che, sobillati dalla fazione patrizia sua avversaria, non esitarono a fare circolare anonimamente contro di lui violenti libelli diffamatori e scritti molto offensivi.

 

Capitano da mar

Francesco Morosini, vissuto quasi sempre sul mare, fu comunque uno degli ultimi comandanti di elevate capacità espressi dalla Serenissima: per quattro volte fu capitano generale da Mar, ossia comandante superiore dell’armata navale in Levante, e operò nel corso delle aspre lotte che, dopo un lungo periodo di pace tra Venezia e Istanbul, caratterizzarono la seconda metà del Seicento, prima appunto a Candia e successivamente in Morea.

Nell’aprile del 1690 papa Alessandro VIII gli conferì un altissimo riconoscimento, facendogli recapitare lo stocco, ossia la spada di campione della fede, e il pìleo, un simbolico berrettone cerimoniale con l’immagine dello Spirito Santo. Entrambi gli furono consegnati dagli inviati pontifici nel corso di una fastosa cerimonia che si tenne a San Marco, all’epoca chiesa di Stato e cappella ducale.

 

Doge

Morosini fu doge dall’aprile 1688 al gennaio 1694, quando morì in Grecia, settantaquattrenne, mentre esercitava il capitanato per la quarta volta, cumulando – fatto non comune – la dignità dogale con l’autorità di comandante sul campo.

Il decesso avvenne a Nauplia, l’antica Napoli di Romania; il corpo fu ricondotto a Venezia dopo che le truppe gli ebbero tributato esequie particolarmente solenni, e venne tumulato nella chiesa agostiniana di S. Stefano.

 

La corrispondenza

Come tutti i patrizi che svolgevano un incarico al di fuori di Venezia, anche Morosini, durante i suoi periodi di comando, intrattenne una fittissima corrispondenza con gli organi di governo della Repubblica. Dai suoi dispacci, inviati al Senato con cadenza pressoché quotidiana e spesso corredati di analitiche mappe, si possono ricavare preziose informazioni sulle campagne militari condotte, ma anche sulla vita minuta degli ufficiali, degli equipaggi e delle truppe che operavano ai suoi ordini.

Dalla viva voce del capitano generale si traggono pure le descrizioni di operazioni belliche che a volte costarono molti gravi patimenti alle popolazioni civili – che furono talora rastrellate in massa e costrette al terribile servizio di voga nelle galee – nonché danni irreparabili ai territori interessati.

 

La distruzione del Partenone

Famoso è il caso dell’assedio di Atene, avvenuto nel settembre 1687: nell’occasione si verificò il disastro della distruzione del Partenone, che, essendo utilizzato come polveriera dagli ottomani assediati, fu bombardato dall’artiglieria veneziana fino a quando un “fortunato colpo” lo centrò in pieno, facendolo saltare in aria. Con un dispaccio Francesco Morosini si fece infine annunciatore della propria stessa morte, comunicando nel gennaio 1694 che le forze gli stavano venendo meno e che, ammalatosi gravemente, non gli restavano che pochi giorni da vivere.

A conclusione dell’esistenza, l’unico rammarico, sosteneva il vecchio doge, rimaneva “quello di non avere potuto quanto desideravimo in servitio della Patria comune e quanto ella ben meritava”.

1700 - Alvise II Mocenigo

Alvise II Mocenigo, nato a Venezia il 3 gennaio del 1628 e morto a Venezia il 6 maggio del 1709, è stato il 110º doge della Repubblica di Venezia dal 17 luglio 1700 sino alla morte. Figlio di Alvise e di Adriana Grimani, proveniva da una famiglia ricchissima e lo stesso Alvise era impegnato in fruttosi commerci con l’Oriente. Amava particolarmente il lusso e lo sfarzo. La carriera politica lo aveva visto consigliere ducale, podestà di Padova (1684-1686) e amministratore della Morea. Eletto il 17 luglio del 1700 con 40 voti favorevoli su 41, accompagnò la sua nomina con ricchissime feste. Durante il suo governo non si verificarono particolari avvenimenti. Risparmiò alla Serenissima i subbugli scaturiti dalla guerra di successione spagnola mantenendo la neutralità.

La salute dell’anziano doge fu letalmente compromessa dopo il rigido inverno 1708-1709: alla sua morte confermò la sua profonda devozione, per alcuni versi esagerata e bigotta, lasciando un enorme capitale da spendere in cinquemila messe in suffragio e una somma di 7.000 ducati all’anno da consegnare ai conventi in occasione delle commemorazioni, che sarebbero avvenute a San Stae.

Il 22 maggio del 1709, al primo scrutinio viene acclamato Doge Giovanni II Comer. Il suo sarà un Dogado sfortunato, cominciato in piena pace ma terminato purtroppo con la guerra contro i Turchi che si ripresero la Morea.

 

1752 - Doge Francesco Loredan

Il 18 marzo del 1752 viene eletto Doge Francesco Loredan. Ha sessantasette anni. È di famiglia ricchissima e di natura generosa.
La casa di famiglia, Palazzo Loredan, è a San Stefano.
Il Doge è amatissimo dai soldati che aveva comandato quale generale nella fortezza di Palmanova in Friuli.
Siccome al momento della votazione si stavano svolgendo le solenni feste pasquali, la sua elezione gli verrà notificata ufficialmente a domicilio solo il 6 aprile.

 

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